L'Europa ci bacchetta, ma è tutta una bufala
Altolà. Nel fucile ci sono le ultime cartucce e pur di non sprecarle meglio sparacchiarle un po’ a caso, tanto per vedere l’effetto che fa. «L’Italia non è in linea con le nostre raccomandazioni. E stia pronta ad intervenire» perché «in primavera partiranno le procedure d’infrazione per deficit». Aiuto. Allarme conti. Meloni nel mirino. Saranno questi i titoli che il “falco” vicepresidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis spera evidentemente di vedere oggi sui giornali anti-governativi. Altrimenti non si spiega l’uscita di ieri, durante un’intervista a SkyTg24 da Davos, in cui il commissario, pur non aggiungendo una virgola a quanto già detto a novembre da Bruxelles, ha voluto lasciar intendere che tra qualche mese scoppia il finimondo. «Gli esami non finiscono mai, ma forse finisce il mandato di Dombrovskis», ha commentato a caldo Maurizio Gasparri.
A rimetterlo in riga, in serata, ci ha pensato pure il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ricordando che «le parole del commissario Dombrovskis ripetono il giudizio espresso dalla commissione europea il 21 novembre scorso sul documento programmatico (DPB) dell’Italia per il 2024». E la risposta, non essendo cambiato nulla, è la stessa di allora. In quella occasione, recita il comunicato di Via XX Settembre, «il ministro Giorgetti dichiarò: “Accogliamo il giudizio della commissione.
Tutto come previsto: nonostante l’eredità dell’impatto negativo di energia e Superbonus, andiamo avanti con sano realismo». Ma il bello è che ad un certo punto anche da Bruxelles è iniziata a trapelare una nota informale, in cui si ribadisce che «la posizione della Commissione» sull’Italia «resta invariata» e che Dombrovskis nell’intervista «ha ribadito il parere» già espresso a novembre e cioè che il Dbp «non è pienamente in linea» con le raccomandazioni della Ue, così come quelli di Austria, Germania, Lussemburgo, Lettonia, Malta, Paesi Bassi, Portogallo e Slovacchia (mentre Belgio, Finlandia, Francia e Croazia sono stati considerati completamente non in linea). In altre parole, non cambia nulla rispetto a quanto già si sapeva.
L’unica differenza, a voler proprio essere pignoli, è che ieri l’Ufficio parlamentare di bilancio, l’authority sui conti pubblici solitamente non tenera con il governo, ha certificato che lo sgambetto grillino sul bilancio dello Stato non è frutto dello becero scaricabarilismo propagandistico del centrodestra, ma un dato di fatto. Anche l’Upb, e ci mancherebbe, invita il governo « tenersi pronto ad adottare le misure necessarie a garantire che la politica di bilancio sia in linea» con le indicazioni della Ue, ma aggiunge anche che «l’aggregato della spesa primaria netta non è pienamente in linea con la raccomandazione Ue sostanzialmente a causa del Superbonus».
Altro che polemica politica, il colpaccio messo a segno da Giuseppe Conte per consentire ai cittadini di rifarsi la casa «gratuitamente» nascondendo sotto il tappeto (grazie anche alla complicità del piddino Roberto Gualtieri, allora ministro dell’Economia) i veri costi dell’operazione è il principale problema con cui il governo dovrà confrontarsi per far quadrare i conti. Al di là di eventuali problemi di traduzione nell’intervista, l’intento allarmista (su cui ovviamente si sono avventate le opposizioni) di Dombrovskis appare abbastanza chiaro dal bisogno di precisare che le procedure d’infrazione partiranno in «primavera». Una furbata per dare la sensazione che i tempi sono strettissimi e che potrebbe essere necessaria una manovra correttiva prima delle elezioni europee, prospettiva che interferirebbe non poco nella campagna elettorale. Anche in questo caso, però, il vicepresidente non ha fatto altro che ripetere quello che già sapevamo e cioè che “eventuali” (tutto potrebbe anche slittare al 2025) procedure d’infrazione non finiranno sul tavolo di Bruxelles prima del 9 giugno, quando i cittadini si recheranno alle urne. Ovvero in primavera, che inizia sì a marzo, ma finisce il 20 giugno. Resta da capire il bisogno del commissario di tirare questa bombetta carta a fine mandato. Ma la spiegazione, forse, è proprio lì, nella fine del mandato.
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