La sinistra si ribella se la Camera risparmia
È possibile migliorare i servizi, risparmiare e pagare meglio i lavoratori? L’obiettivo (decisamente ambizioso) della delibera approvata dall’Ufficio di presidenza di Montecitorio nel dicembre scorso prevede di riportare sotto il controllo diretto della Camera dei deputati molti servizi (ristorazione, facchinaggio, parcheggio, supporto operativo), grazie all’istituzione di una società interna.
L’iniziativa - portata avanti dal Questore anziano della Camera, Paolo Trancassini - è stata avviata in via sperimentale, nell’aprile scorso.
Montecitorio ha deciso di iniziare ad acquistare direttamente le derrate alimentari per rifornire i servizi di ristorazione interni. Andando a “fare la spesa” dai piccoli produttori locali. Definendo un accordo, senza intermediari, con gli agricoltori di Coldiretti della rete di Campagna Amica. La fase sperimentale sembra aver avuto successo: non solo si riesce a risparmiare tagliando l’intermediazione di filiera (circa 180mila euro in questi primi mesi di test), ma anche a far crescere il gradimento tra onorevoli e dipendenti. E infatti l’affluenza ai punti di ristoro nella stessa parentesi temporale è aumentata di oltre il 30 percento.
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Da lustri i servizi principali offerti a deputati e dipendenti di Montecitorio (ristorazione, facchinaggio, parcheggio, supporto esecutivo), sono affidati, a rotazione, ad una manciata di società e cooperative che nel tempo si sono alternate o scambiate. Unico vincolo: garantire il reimpiego dei lavoratori storici (circa 400 persone che in alcuni casi da 20 anni sono e restano precari).
Già soltanto aver messo mano al “giochino” di fornitori e società che si spartiscono gli appalti ha infuocato gli animi. C’è da capirlo: il valore complessivo degli appalti esterni supera i 12 milioni l’anno. I compagni del Pd e dei 5 stelle (con la gran cassa della Cgil) hanno già alzato le barricate. «Perché volete cacciare queste cooperative e stabilizzare questi lavoratori precari?». L’intimazione contiene una profonda verità e un gigantesco bluff.
IL CIRCO DEGLI APPALTI - L’intento principale è invece di stabilizzare e riassorbire, sotto il diretto controllo di Montecitorio (con una società in house), quei servizi che sono stati dati in appalto esterno nelle passate legislature. I lavoratori (345 per la precisione) vengono anno dopo anno reimpiegati. C’è chi andrà in pensione da precario con un assegno modesto. Visto che se il sistema continuerà a girare così - i versamenti previdenziali saranno altrettanto esigui.
La grande verità è che questi lavoratori esterni oltre a saltare da un contratto all’altro spesso portano a casa buste paghe da fame. Anche meno di 400 euro al mese. Possibile? Capita. Il meccanismo è semplice: la società appaltatrice affida alla gran parte di questi dipendenti solo poche ore e molte volte frazionate (due ore di servizio alla mattina presto e due ore alla sera tardi). Morale: a fine mese il lavoratore porterà a casa poco meno di quanto incassa un addetto part time verticale. La società che lo ha assunto per riporre cappotti, controllare i parcheggi, pulire i 46mila metri quadri di pavimenti di Montecitorio si ritroverà a pagare un salario sotto la soglia di sussistenza. Tutto in regola ma un po’ bizzarro.
Se è legittimo per una società privata tendere a massimizzare gli utili, il discorso sarebbe diverso per un soggetto pubblico e istituzionale che non deve fare utili. E con una società in house, come quella a cui stanno lavorando i vertici della Camera, non è necessario guadagnarci. Basta far quadrare i conti e garantire il servizio. Anzi, ottimizzando i costi, si riesce ad assicurare prestazioni ottimali e a far diminuire la spesa complessiva. E quindi già così si risparmia mediamente un 10% del budget.
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Secondo le proiezioni attuariali i risparmi previsti da tutta questa riorganizzazione potrebbero arrivare a 1.337.375 euro. Quattrini da reinvestire anche per rimpinguare i salari dei lavoratori storici, secondo le intenzioni dell’Ufficio di Presidenza di Montecitorio. Si partirà poi con un aumento prudenziale dei compensi del 5%. Se poi, a consuntivo, la riorganizzazione operativa dimostrerà di funzionare si è già ipotizzato un aumento dei salari del 10%. Infatti non dovendo raggiungere l’utile la società della Camera si potrebbe permettere di dirottare sui lavoratori le risorse che emergerebbero dalla riorganizzazione dei servizi per migliorare le condizioni reddituali degli addetti ai servizi.
GESTIONE DIRETTA - Insomma, l’idea che anima il progetto è di continuare ad offrire i servizi ma di coordinare tutto questo circo da società controllata direttamente dalla Camera. E che potrà assicurare anche un sistema di controlli incrociati per evitare mangiatoie e pasticci che in Italia non mancano mai. E per evitare sorprese (ed eventuali “buchi” non preventivabili nella prima fase di gestazione di un’impresa di gestione da creare ex novo), gli esperti della società di revisione che hanno assistito la Camera in questa esplorazione contabile hanno suggerito di mettere a riserva tecnica parte dei risparmi. Un accantonamento di 400mila euro che confluirà in un fondo straordinario da cui attingere se dovesse saltar fuori che non era stato considerato qualche costo accessorio sfuggito all’analisi dei revisori contabili. E che potrebbe essere utilizzato per incrementare ulteriormente i compensi dei lavoratori.