Acca Larentia, Giuseppe Conte e Gentiloni coprivano i fascisti?
Mettiamola così: è meglio affrontare la faccenda sorridendo, attività (dispiacerà a qualcuno a sinistra) non ancora vietata né tassata. Ricorderete che nei film di Fantozzi il congiuntivo sistematicamente sbagliato era a suo modo un connotato favolosamente interclassista: univa tutti, dal megapresidente giù giù fino al più sottomesso dei dipendenti.
Ecco, allo stesso modo, il prepotente ritorno – a Befana appena trascorsa – dell’allerta antifascista unisce oggi, dopo la commemorazione di Acca Larentia, i compagni di ogni ceto sociale. Ai piani più bassi, serve come rimedio sicuro per sfogare la frustrazione del rientro al lavoro: del resto, ingoiata l’ultima fetta di panettone, sbranato l’ultimo avanzo di abbacchio, esaurita la gitarella con la famiglia (e pure i soldi per pagarla), e avendo davanti – tanto per peggiorare l’umore – prospettive elettorali non brillanti alle Europee e alle regionali, non c’è a disposizione molto altro per farsi coraggio.
Dunque, riparte la caccia a un inesistente fascismo. Ma pure ai piani più alti – fatte salve le differenze di reddito e status – la psicodinamica dei vipponi progressisti è esattamente la stessa. Da ieri sera li avete rivisti in tv, di ritorno da Cortina, con i segni degli occhiali da sci su un’abbronzatura ancora fresca, e – diciamolo – non proprio con l’aria sofferente di chi lotta contro gli oppressori. Eppure sono già tutti in plastica posa resistenziale. Che ci volete fare? Più party-giani che partigiani, hanno ripreso a spiegarci che questo 2024 assomiglia al 1924, che siamo al cupo Anno Primo dell’Era Meloni, che abbiamo davanti un orizzonte di fez-stivaloni-camicie nere.
Che fare con questi soggetti, chiaramente vittime di gravi allucinazioni? Torna alla mente “Ditegli sempre di sì”, una meravigliosa pièce di Eduardo De Filippo, insieme sorridente e dolorosa. La storia è nota: un uomo (matto ma non pericoloso) esce dal manicomio per andare a vivere con sua sorella.
Il medico, nel riconsegnare il pazzo alla sua famiglia, raccomanda a tutti– appunto – di dirgli sempre di sì. E di tanto in tanto, con effetto comico irresistibile, il dottore rientra in scena per sussurrare all’uno o all’altro dei familiari o degli amici: «Assecondatelo». Ecco, vedete voi, forse è proprio il caso di assecondarli.
QUANTE SBROCCATE
Comunque, su Libero di questa mattina, trovate giudiziosamente registrate le sbroccate dei leader e dei sotto-leader della sinistra: perché ieri, da Schlein a Fratoianni, da Renzi e Calenda (per una volta uniti), da Bonelli a Magi, tutti hanno timbrato il cartellino dell’indignazione. A un certo punto, si è unito allo psicodramma perfino il loggionista-urlatore della Scala, quello di “Viva l’Italia antifascista”: pure lui sulle barricate. E in serata, non sappiamo se con stivali o senza, è arrivata anche la reazione del leggendario Soumahoro. Ormai il format è collaudatissimo: ieri era il giorno della crisi isterica, che poi in genere è seguita da lunghe ore di depressione. In attesa dell’inevitabile fase down, per adesso anche i media organici alla sinistra sono ancora in fase up, di eccitazione un po’ nevrotica, che canalizzano in una raffica di attacchi del tutto scomposti e sempre fuori fuoco contro Giorgia Meloni. Primo. Gridano che «la Meloni deve condannare». E che deve dire la Meloni?
Che c’entra? Deve forse ricordare che questa manifestazione (è perfino superfluo dirlo: non condivisibile nella sua forma e nella sua gestualità politica) si ripete da anni uguale a se stessa? Anzi, semmai quest’anno è stata anche meno partecipata. Che conclusione se ne dovrebbe trarre? Che i governi in carica negli anni passati – da Gentiloni a Conte a Draghi – fiancheggiavano i nostalgici in modo ancora più poderoso? Roba da ridere.
Secondo. La stragrande maggioranza dell’esiguo drappello di manifestanti con il braccio teso non ha alcuna simpatia per la svolta politica compiuta da Meloni diversi anni fa. La destra che quei signori hanno nella mente e nel cuore non è né conservatrice né atlantista né di governo.
Non occorre essere raffinati politologi per comprendere che Fratelli d’Italia è un partito che si è incamminato lungo una strada che non ha praticamente nulla da spartire con antiche nostalgie destrorse. È troppo chiedere alla sinistra di riconoscere questo elementare dato politico?
LE CONDANNE
Dirò di più: non si contano le occasioni in cui la Meloni – giustamente – ha condannato e preso le distanze da un passato che pure non le appartiene, e da cui la sua comunità politica si era irreversibilmente staccata già all’inizio del 1995, or¬mai quasi trent’anni fa, attraverso quella che fu chiamata “svolta di Fiuggi”. Fu sciolto il vecchio partito, nacque Alleanza nazionale, e nelle tesi approvate in quella circostanza furono inserite – messe inequivocabilmente nero su bianco – parole definitive che qui trascrivo appositamente in corsivo: «È giusto chiedere alla destra italiana di affermare senza reticenza che l’antifascismo fu un momento storicamente essenziale per il ritorno dei valori democratici che il fascismo aveva conculcato».
Avete letto bene: l’antifascismo definito «essenziale» per il ritorno dei valori democratici che erano stati «conculcati». Ecco: la giovanissima Meloni fu prima militante, poi dirigente, poi parlamentare e vicepresidente della Camera, e quindi ministro, espressa da quel movimento politico, di cui condivise il percorso e la crescita. Successivamente, assunta la guida di Fratelli d’Italia, fino all’arrivo a Palazzo Chigi, sono state numerosissime le circostanze in cui la Meloni stessa ha pronunciato parole inequivocabili, anche visitando la comunità ebraica, commuovendosi nel ricordo delle pagine più buie degli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso.
Che altro dovrebbe dire? Terzo. C’è una sola cosa – un “dettaglio” – che ieri gli urlatori di sinistra hanno trascurato. I morti di Acca Larentia, le vittime di quella strage, non hanno ancora avuto diritto a un po’ di verità. Nessun colpevole. Quarantasei anni dopo, è normale anche questo? Nessun imbarazzo a sinistra?