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Giorgia Meloni, i suo nemici sono i "mandarini"

Fausto Carioti
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Avrebbe dovuto essere una sorta di resa dei conti. Dopo aver rimandato l’appuntamento per due volte, la presidente del consiglio sarebbe stata finalmente interrogata dai giornalisti, molti dei quali ostili. Nel frattempo, a gravare sul suo partito, si era aggiunto il caso del “pistolero” Emanuele Pozzolo. Gli ingredienti perché la conferenza stampa più attesa degli ultimi anni finisse male per Giorgia Meloni c’erano quindi tutti. Incluso lo stato di salute dell’interessata, che si è presentata smagrita, pallida ed afflitta da una tosse insistente. Se qualcuno dei presenti aveva in mente di ironizzare sulle sue assenze o di farle domande sul motivo di quei due appuntamenti saltati, ha dovuto trovare in fretta argomenti migliori.

Quello che si è chiuso tre ore e due minuti dopo (nuovo record di durata del rito collettivo) è stato comunque un one-woman show. Essere debilitata non le ha impedito di evitare tutti i presunti ostacoli, aiutata, oltre che da domande spesso inconsistenti (pretendere che dica adesso come sarà la manovra del 2025 ha un che di surreale, eppure le è stato chiesto), anche dalla scelta di disinnescare subito l’argomento che sembrava più pericoloso: «Chiunque detenga un’arma ha il dovere legale e morale di custodirla con responsabilità e serietà», scandisce Meloni. E siccome il deputato Pozzolo non lo ha fatto, lei stessa ha chiesto che sia sospeso da Fratelli d’Italia.

Quanto al senso politico delle sue risposte, o se si preferisce del suo programma, lo riassume lei stessa a metà della maratona: «Il mondo nel quale la sinistra ha più diritti degli altri è finito. La democrazia che abbiamo conosciuto, per cui la sinistra fa quello che vuole e chi non è di sinistra non ha diritti, non è il mio mondo e farò di tutto per combatterlo». Non ce l’ha tanto con Elly Schlein, che in fin dei conti fa politica come lei, chiedendo i voti agli italiani. La premier è anche disponibile ad affrontarla in un duello televisivo prima delle elezioni europee: «Non mi sono mai sottratta, non lo farò stavolta». Il nemico più pericoloso, quello disposto a contrastare il governo «con ogni mezzo, anche non legittimo», come aveva detto a dicembre dal palco di Atreju, non siede in parlamento.

Ce l’ha con l’idea proprietaria che la sinistra ha delle istituzioni, ben rappresentata da quelli come Giuliano Amato, come il magistrato della Corte dei Conti Marcello Degni e come tutti gli altri che monopolizzano l’interpretazione della Costituzione e piegano le leggi per fare la loro battaglia politica. Lo dice quando le viene chiesto di Amato, che peraltro il suo governo ha nominato alla guida del comitato che studia l’impatto dell’intelligenza artificiale sull’editoria. Nei giorni scorsi l’ex consigliere di Bettino Craxi ha detto a Repubblica che la destra e l’esecutivo percepiscono la Corte Costituzionale «come un nemico», e che pure qui, come in Polonia, il governo potrebbe impedire la pubblicazione delle sentenze della Consulta, segnando così «la fine della democrazia».

La premier risponde prendendo subito le distanze dalla nomina di Amato all’ennesimo incarico: «Credo si sappia che non è stata una mia iniziativa». Vero: la scelta è stata del sottosegretario Alberto Barachini, forzista, e lei non l’ha apprezzata (eufemismo). Quindi si dice «francamente basita» dalle parole di Amato. È convinta che l’allarme del professore sia scattato «perché entro il 2024 il parlamento, che oggi ha una maggioranza di centrodestra, deve nominare quattro giudici della Corte costituzionale», e questo basta a far dire che l’Italia rischia «una deriva autoritaria».

 

 

 

UN NUOVO ARTICOLO 135

Accusa alla quale Meloni replica con sarcasmo: «Potremmo scrivere all’articolo 135 della Costituzione che quei giudici sono nominati dal Pd, sentito il parere di alcuni intellettuali e di Giuliano Amato». E comunque, prosegue, «la vera deriva autoritaria è credere che chi vince le elezioni, se non è di sinistra, non abbia gli stessi diritti degli altri». È qui l’essenza della sua missione a palazzo Chigi. Lo spiega anche quando le viene chiesto di Degni, il quale avrebbe voluto «far schiumare di rabbia» la maggioranza impedendo l’approvazione della legge di Bilancio e causando l’esercizio provvisorio. Due cose la premier reputa particolarmente gravi. La prima «è la sfrontatezza con cui questo giudice ritiene che sia normale» un simile comportamento.

L’altra è «che non ci sia stato nessuno, a sinistra, a dire due parole sul tema. Paolo Gentiloni, che ha nominato questo giudice? Elly Schlein?». E tutto ciò perché si considera «normale che persone nominate dalla sinistra in incarichi che devono essere super partes si comportino da militanti politici». Questa, spiega, «è la mentalità che ha devastato le istituzioni italiane ed è la mentalità che io combatto». Vale pure per i poteri che vogliono influenzarla. C’è qualcuno che «ha pensato di poter dare le carte», ma «in uno Stato normale non debbono esserci questi condizionamenti», dice Meloni. Si rifiuta di entrare nei dettagli, ma ripete che costoro «hanno a che fare con la persona sbagliata. Non sono una persona che si fa condizionare, non sono una persona che si fa ricattare». Lo dimostrerà anche tirando dritto con l’elezione diretta del premier, che difende, e con una riforma costituzionale della giustizia che includerà le separazione delle carriere dei magistrati e sarà presentata nei prossimi mesi. Meloni sa che potranno comportare due referendum confermativi distinti, dunque un doppio difficile esame per il governo, ma nemmeno questo, assicura, la spaventa. 

 

 

 

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