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Luigi Di Maio, il retroscena sulla telefonata: "Devi attaccare Giorgia Meloni"

Tommaso Montesano
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Dire che Giuseppe Conte sia infastidito è dire poco. È dal dibattito parlamentare nel quale Giorgia Meloni, in Aula, ha accusato il leader del M5S e il suo ex ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, di aver dato l’assenso al Mes - il contestato meccanismo salva Stati europeo - “alla chetichella”, che l’ex avvocato del popolo è sulla difensiva. Prima quel fax sventolato dalla presidente del Consiglio a riprova che l’allora governo giallorosso aveva dato istruzioni in tal senso all’allora rappresentante italiano a Bruxelles, Maurizio Massari. Poi l’indiscrezione, da parte di Repubblica, su una telefonata indirizzata proprio a Di Maio da parte di un attuale, alto dirigente grillino vicinissimo a Conte. Obiettivo: chiedere all’ex capo della Farnesina un consiglio. O meglio: capire come uscire dall’impasse nel quale Meloni, in Senato, aveva cacciato Conte e l’intero Movimento.

ASSEDIATO
Una ricostruzione tutt’altro che edificante per “Giuseppi”, costretto a chiedere aiuto al suo mentore e poi rivale – qualcuno ricorda la scissione filo – draghiana di “Insieme per il futuro” alla fine della scorsa legislatura? – per uscire dal “cul de sac”. Comprensibile che Conte, che sulle accuse di Meloni lo scorso 18 dicembre ha scritto al presidente della Camera, Lorenzo Fontana, chiedendo l’istituzione di un “giurì d’onore”, ora faccia di tutto per provare ad uscire dall’assedio. Prima ha votato in Parlamento contro la ratifica della riforma del Mes. Poi, ieri, ha negato – mai così stizzito – di aver cercato Di Maio, che pure due settimane fa in tv, ospite di Corrado Formigli a Piazzapulita, aveva in qualche modo avvalorato la ricostruzione di Conte (quantomeno sulla tempistica della decisione). «Onestamente non mi risulta alcuna telefonata», ha detto ieri l’ex premier interpellato dall’agenzia Ansa.

 

 

Ma Conte non si limita a smentire, facendo intravedere quale sia il nervo scoperto di tutta questa storia: il timore che possa passare il messaggio che lui non abbia il pieno controllo del M5S. Aggiunge infatti l’ex premier: «Vorrei però chiarire che il Movimento non cerca nessuna sponda e non ha bisogno di nessuna prova testimoniale per la semplice ragione che gli atti compiuti, a partire dal confronto parlamentare, sono tutti corredati da puntuali prove documentali. E questi documenti inchiodano Meloni, dimostrando che ha mentito al Paese».
Una versione che Conte fa ripetere, a uso e consumo delle altre agenzie di stampa, da «fonti M5S», che diffondono una nota nella quale ribadiscono che non «risulta nessuna telefonata. Il lavoro sul dossier Mes è stato portato avanti alla luce del sole». Quello che Conte non può sapere, però, è che a stretto giro di posta Di Maio lo smentisca.

Confermando, di fatto, di aver ricevuto più di una chiamata dagli ex colleghi di partito. «Non è una polemica che mi riguarda. Chi mi ha chiamato nei giorni delle dichiarazioni in Aula del premier Meloni è libero di dirlo, se vuole». Quindi non di una sola telefonata, si tratterebbe, ma di più chiamate. L’ex ministro degli Esteri, attuale rappresentante speciale dell’Unione europea per il Golfo Persico, preferisce non aggiungere altro: «Non ho alcuna intenzione di farmi trascinare in giochetti politici. Voglio precisare che ho saputo della richiesta di un giurì d’onore dalla stampa come ogni altro cittadino». Poi Di Maio ha ricapitolato la sua posizione dopo le dichiarazioni di Meloni in Parlamento: «Ho già chiarito pubblicamente: il presidente del Consiglio aveva detto una cosa falsa circa la mia firma dei pieni poteri all’ambasciatore Massari. E una cosa vera circa il fatto che il M5S e il governo Conte abbiano votato la riforma del Mes nel dicembre 2020». Quel Mes sul quale il M5S, sei giorni fa, si sarebbe però espresso come Fratelli d’Italia e Lega.

 

 

«È IL NUOVO ZELIG»
Troppo facile per gli avversari infierire. «Il partito che doveva portare trasparenza in politica non sa fare chiarezza neppure per dire se c’è stata o no una telefonata con Di Maio...», ironizza Osvaldo Napoli di Azione. Ed è proprio dal partito di Carlo Calenda che in serata replicherà a Di Maio, invitandolo a rivolgere i «moniti a se stesso», visto che lui «nei giochini politici» ci ha sguazzato, «contorto e rigirato da solo per anni» che affibbiano il nuovo soprannome al «trasformista» Conte, bollato come «novello Zelig della politica» (Daniela Ruffino).

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