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Mes, il valore politico del "no" alla riforma e il coraggio della maggioranza

Gianluigi Paragone
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Coerenza e coraggio. E non è da tutti. I commenti del giorno dopo fanno capire il valore politico della mancata ratifica del Mes, il cosiddetto fondo salva Stati: Repubblica, Prodi, Mario Monti, Cottarelli, il Pd, insomma i soliti che speravano che il centrodestra si ribaltasse alla curva insidiosa del Mes. Invece né Fratelli d’Italia né la Lega hanno ceduto; sono stati coerenti con le parole del passato e soprattutto con l’impegno verso un elettorato assai poco entusiasta delle logiche europee. Cosa che invece non può dire Giuseppe Conte, il quale quando era a capo del governo con il Pd e soci disse sì alla riforma tradendo il programma Cinquestelle; del resto il suo ministro dell’Economia, Gualtieri, era nella cabina dove si stendeva la riforma del Meccanismo europeo di stabilità.

Coerenza, dunque. E coraggio. Perché questo voto negativo firmato Meloni e Salvini è densamente politico. Intanto va detto che mai come in questo frangente il parlamento è stato finalmente degno della centralità che la Costituzione sancisce, e il presidente Mattarella dovrebbe esserne rispettoso (o si aspettava che Fdi e Lega tradissero le parola con il popolo sovrano che li ha scelti come maggioranza di governo?). Non solo. Il no al Mes srotola e dipana tutta una serie di nodi che non potevano restare intatti a lungo.

 

Come dicevamo sopra, qualcuno stava tramando affinché il centrodestra si spaccasse alla vigilia del voto delle Europee, nella speranza di dividere Salvini dalla Meloni, scommettendo su una Meloni più accomodante. Ma trattare non significa tradire. Questa tenuta è pertanto un avviso sia all’interno che all’esterno dei confini italici.

“La vittoria del patto sovranista”, commentava Repubblica accanto al titolo “Strappo con l’Europa”, con tanto di retroscena di un Giorgetti preoccupato “Ce la faranno pagare” - o di un Colle “freddo per la sfida sovranista”. E ancora: “L’Europa furiosa contro l’Italia inaffidabile”. Inaffidabile perché? Perché non si è accucciata come avevano fatto finora i recenti governi? Inaffidabile perché non ha scodinzolato agli ordini di Germania e Francia, che sulla riforma del Patto di Stabilità si sono accordati in gran segreto per poi costringerci all’angolo?

Il no al Mes è un avviso anche a loro: se pensate di fregarci o di salvarvi sulla nostra pelle avete sbagliato i conti. Vale anche a futura memoria, cioè a quel 2027 quando con la revisione del Patto di Stabilità la Germania punterà a imporre le sue solite ricette a colpi di austerità, dopo aver lasciato quel minimo di galleggiamento per gestire gli anni di crisi in corso. Con la riforma del Patto, Berlino e Parigi hanno dimostrato rispettivamente di non saper andare oltre i vecchi criteri e di non avere visione alta (il secondo mandato di Macron scadrà nel 2027 quindi tanti saluti...).

 

 

«Scelta folle che isola il Paese e lo rende più debole», dice Romano Prodi, il padre dell’Ulivo, quello che diceva che grazie all’euro saremmo diventati più ricchi perché «lavoreremo un giorno in meno e guadagneremo come se avessimo lavorato un giorno di più». Sappiamo bene com’è andata: gli italiani si sono visti più esposti alle scorrerie del lavoro disciplinato con le logiche dei grandi gruppi (con gravi conseguenze sulle buste paga) e pure depredati del risparmio. E arriviamo, per chiudere, alle panzane sul Mes, su cui abbiamo scritto tante volte (e per questo ci rallegriamo del voto negativo). Se uno Stato membro dell’eurozona fosse in difficoltà perché deve rivolgersi a un fondo “salva Stati” e non alla Banca centrale europea? Semplice, perché la Bce non è una banca centrale a tutti gli effetti e le logiche di salvataggio sono incardinate a regole finanziarie. Tant’è che l’allarme non è scattato tra i cittadini (i quali ieri commentavano la SuperLega mica il Mes) ma tra le banche. Soprattutto quelle tedesche. 

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