Puglia, Michele Emiliano deve colmare mezzo miliardo di rosso
Con il bilancio di previsione regionale, pochi giorni fa, ci hanno messo una toppa: 50 milioni di euro (su una manovra complessiva di 1,2 miliardi, che percentualmente è una piccola fetta, però almeno è qualcosa). Il problema è che la sanità pugliese sono mesi che fa i conti (in rosso) con un buco di 450 milioni di euro registrato nel 2022.
Cioè l’anno scorso, che non è neanche il lasso di tempo viziato dalla pandemia, quel periodo nero in cui il Covid ha scombussolato esistenze e ospedali e reparti in tutta Italia. In Puglia non ci sono abbastanza medici né infermieri (come nel resto del Paese); le liste d’attesa sono infinite (idem); ad aprile la Regione dem guidata dal dem Michele Emiliano ha approvato un pacchetto di misure di contenimento della spesa su farmaci, dispositivi medici e gas medicinali; gli ordini di categoria e i sindacati si fanno sentire e a settembre ci si è messa persino la Corte dei Conti. Che ha analizzato i documenti del 2022, li ha spulciati uno per uno, ed è arrivata alla conclusione che sì «il bilancio regionale (pugliese, ndr) presenta alcune significative criticità», anche se tutto sommato possono essere considerate «comunque sanabili», «specie per il comparto sanitario».
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«Nonostante l’impegno profuso», spiegava allora il procuratore regionale Cosmo Sciancalepore, la Puglia, nel 2022, «a fronte di un tetto complessivo pari a 1.218.687.090 euro, ha sostenuto una spesa di 1.488.411.619 euro». Non serve la calcolatrice per capire che le uscite superano le capacità del portafoglio. Circa le misure di contenimento prese nei mesi precedenti, poi, Scancalepore ha sottolineato che hanno «consentito risparmi di spesa farmaceutica e la riduzione del divario registrato dalla Regione rispetto alla media nazionale, ma non hanno consentito la soluzione della problematica». Come a dire: è vero, gli sforzi ci sono stati, sono andati pure nella direzione corretta, ma quel buco, quella voragine, s’è solamente assottigliata, le criticità non sono scomparse. Tra l’altro «non possono essere i cittadini pugliesi a pagare, in termini di servizi e qualità, quel deficit accumulato dalla sanità», ripetono, almeno dall’inverno scorso, i sindacati pugliesi: perché alla fine, il problema, il cruccio, e ci mancherebbe il contrario, resta sempre quello.
Coi cinquanta milioni di euro del bilancio di previsione di questa settimana la Puglia conta di potenziare il suo sistema sanitario, di promuovere l’avvio e il consolidamento di un corso di laurea (sono stati assegnati circa sei milioni di euro fino al 2026) in Medicina e Chirurgia dell’università di Bari presso la sede di Taranto: idea encomiabile, sicuramente utile, ma che vedrà i suoi effetti pratici sulle corsie, semmai, solo tra una decina di anni. Altri 83 milioni di euro sono stati stanziati per un corso di laurea in infermieristica al Vito Fazzi di Lecce e al Panico di Tricase (entrambi ospedali), però il discorso è identico. Investire oggisulla formazione del futuro personale sanitario è sacrosanto e imprescindibile, ma purtroppo non risana le carenze attuali. E infatti, meno di due settimane fa, il campanello d’allarme lo hanno suonato i sindacati: «Continuare ad insistere sulle prestazioni aggiuntive come unica soluzione per abbattere le liste d’attesa anziché provvedere a un piano di assunzioni straordinario, valutando fabbisogni occupazionali», hanno fatto notare in una nota congiunta, «è un sistema che si è già rivelato inefficace». Nonostante il Policlinico di Bari, per esempio, a fine novembre, abbia annunciato l’assunzione a tempo indeterminato di cento operatori e la As di Lecce di altri 233.
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