Giulia Cecchettin, la sinistra sfrutta la tragedia contro il pacchetto-sicurezza
Da una parte tendono la mano per un percorso comune in Parlamento per il contrasto ai femminicidi, dall’altra utilizzano la tragedia di Giulia Cecchettin per provare a smontare l’ultimo “pacchetto sicurezza” del governo. A sinistra è durato ben poco il fair play istituzionale dopo il ritrovamento del corpo della 22enne di Vigonovo, in provincia di Vicenza. Nella mischia, nel giro di 48 ore, è finito di tutto: i provvedimenti dell’esecutivo, la scuola, i permessi per le armi, l’aborto, il patriarcato, perfino il “fu” disegno di legge Zan.
Riccardo Magi è il solito guastatore. Il segretario di +Europa dopo aver ricordato che «l’educazione sessuo-affettiva nelle scuole era nel nostro programma elettorale», punta al bersaglio grosso: il disegno di legge in materia di «sicurezza pubblica» e di «tutela delle forze di polizia» approvato dal consiglio dei ministri giovedì scorso. Bisogna seguire il filo del ragionamento: poiché «una donna su quattro è vittima di armi da fuoco e moltissimi delitti avvengono con armi legalmente detenute», il primo passo che Palazzo Chigi dovrebbe compiere per reagire alla morte di Giulia è quello di stralciare dal pacchetto sicurezza «la norma che consente di fatto una liberalizzazione delle armi da fuoco». Il riferimento è alla parte del provvedimento nella quale si autorizzano gli appartenenti alle Forze dell’ordine a «portare senza licenza un’arma diversa da quella di ordinanza quando non sono in servizio». Come se il solo fatto di possedere un’arma, per giunta da parte di agenti e ufficiali di pubblica sicurezza, fosse indice di colpevolezza.
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CHIODO FISSO - Anche Marcello Sorgi, editorialista della Stampa, punta il dito sulle nuove norme governative. In nome della tutela delle donne, l’ex direttore del Tg1 si chiede: non c’è contraddizione tra il «giro di vite che prevede inasprimenti di pene per le donne, anche incinte» e l’assenza di interventi contro il femminicidio, nonostante questi siano più urgenti visto che «ogni tre giorni» una donna subisce violenza? E sempre in politica finisce...
Ma forse il caso più eclatante è quello di Monica Cirinnà, l’ex senatrice del Pd che ha ancora il dente avvelenato per la mancata approvazione del “ddl Zan”, quello sul contrasto all’omotransfobia, di cui fu relatrice nella scorsa legislatura. Ebbene, per Cirinnà «educazione al rispetto e all’affettività», di cui si discute oggi, «erano nella nostra legge Zan affossata in Senato dalla destra con voto segreto seguito da applausi». Vale la pena concentrarsi sul finale del tweet: «Ora tutti costoro devono tacere e sentirsi in colpa. Nel nome di Giulia basta lacrime di coccodrillo: ci ripensate?».
L’interpretazione del tweet di Cirinnà, con relativo giudizio, la fornisce la onlus ProVita & Famiglia, che ddl Zan fu fiera avversaria: «Secondo Monica Cirinnà, omicidi brutali come quello di Giulia avvengono perché non è stato approvato il ddl Zan e chi era contrario a quella legge ora deve “sentirsi in colpa” personalmente per queste orribili violenze. Si puo essere più marci di così?».
Lara Ghiglione, segretaria confederale della Cgil, butta dentro tutto. Tanto per cominciare per lei le donne sono a rischio «anche a causa della regressione culturale promossa dalle destre». E quindi quando si limita «la libera scelta delle donne sull’aborto, quando le colpevolizzano, quando non si investe sulla prevenzione e sulla libertà economica, sulla cultura del rispetto, bisognerebbe solo tacere». Ed è in questo clima, evidentemente- il ragionamento viene da sè -, che è maturato l’omicidio di Giulia Cecchettin.
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Un discorso a parte lo merita il filone istruzione. Roberto Morassut, deputato del Pd, non si limita a chiedere- come fa nell’intervista della pagina accanto Laura Ravetto della Lega - che nell’ambito dell’ora di educazione civica si insegni anche il rispetto per le donne. No, per Morassut occorre introdurre «nelle scuole materie nuove. Materie che contribuiscano a demolire il patriarcato». E questo perché «non basta più la parità di genere».
DAGLI ALL’UOMO In questo trova un solido alleato, alla sua sinistra, nella persona di Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra italiana, per il quale «gli uomini violenti sono il frutto di una cultura malata» permeata di quel «patriarcato» e «maschilismo che dobbiamo debellare». E dove? «In ogni scuola del Paese e in ogni luogo in cui si trovino giovani uomini e donne, per sostenere un percorso che porti a una vera liberazione delle donne». In fondo, chiosa il dem Gianni Cuperlo, «il problema siamo noi, sono gli uomini» ed è ora di un «gigantesco lavoro culturale».
Sul tema è andato in scena anche un botta e risposta tra la segretaria del Pd, Elly Schlein, e la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. La prima, dalle telecamere di In mezz’ora, ha confermato la disponibilità dell’opposizione a contribuire all’approvazione di «una legge che introduca l’educazione al rispetto e all’affettività nelle scuole», ma di non aver ancora sentito la numero uno di Palazzo Chigi. Meloni è intervenuta in serata con un lungo post sui social nel quale ha ricordato che il governo ha già messo in campo diversi strumenti, a partire dal disegno di legge che prevede, tra le altre cose, il rafforzamento delle misure di protezione per le donne in pericolo e un aumento dei fondi per il piano antiviolenza. Il testo, approvato all’unanimità alla Camera, mercoledì sarà all’esame del Senato.