Giorgia Meloni tra Israele e la Terra di Mezzo: la giornata del premier
Quando si parla del rapporto di Giorgia Meloni con le pagine di J.J.R. Tolkien, il confine tra letteratura e politica svanisce. Il legame della destra italiana con l’autore de Il Signore degli Anelli non è certo un’invenzione sua, i Campi Hobbit esistono dal 1977, stesso anno in cui nacque lei, e furono una trovata dei rautiani, ma alla presidente di Azione Giovani e futura premier l’immaginario, l’iconografia e i valori tolkieniani servirono poi per offrire alla comunità giovanile della destra italiana un’alternativa conservatrice a quelli del neofascismo. A questo monumento culturale al quale deve tanto la premier ha portato omaggio ieri pomeriggio, visitando la mostra che gli ha dedicato la Galleria nazionale di arte moderna. Con lei c’erano la sorella Arianna, Ignazio La Russa, il ministro Gennaro Sangiuliano e i curatori. Si è soffermata divertita davanti alla lettera con cui l’editore Mondadori rifiutò di tradurre e pubblicare in Italia The Lord of the Rings: decisione scellerata frutto della miopia del mondo culturale di allora, incapace di andare oltre la narrativa realista e “impegnata”.
All’uscita ha parlato di «una mostra molto bella e completa. Da persona che conosce abbastanza bene la materia ho visto molte cose che non conoscevo, anche dell’uomo Tolkien». Le ci vorrà molta della pazienza e della forza interiore del suo personaggio preferito, l’hobbit Sam Gangee, per affrontare le prossime sfide. La più importante si prospetta quella del Mes, il meccanismo che istituisce il fondo salva-Stati, creato da un accordo tra i Paesi dell’area euro che l’Italia è stata l’unica a non firmare. C’è tempo sino a dicembre e le pressioni internazionali sul governo affinché si unisca agli altri sono fortissime. Meloni è sempre stata contraria, ma sul tavolo dei colloqui con Bruxelles c’è anche la revisione del Patto di stabilità, altra partita da chiudere entro la fine dell’anno, cruciale per l’indebitatissima Italia, ed è inevitabile che le due trattative marcino parallele e che l’esecutivo usi il potere contrattuale che detiene sul Mes per spuntare una versione del Patto che non costringa gli italiani a nuovi esercizi di dura austerità.
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Nell’attesa, la presidente del consiglio assicura di essere ferma nella sua granitica ostilità alla ratifica del Mes. «Per me non è cambiato niente», ha detto ai cronisti che l’aspettavano fuori dalla Galleria di Arte moderna. E i tempi, in teoria, dovrebbero essere rapidi: dopo la sospensione di quattro mesi votata dall’assemblea di Montecitorio a luglio, il ritorno del Mes in aula è fissato per mercoledì 22 novembre. «Attualmente non mi pare che stia slittando. Se la settimana prossima è calendarizzato, la settimana prossima si discuterà», ha commentato la presidente del consiglio. In realtà, nei prossimi giorni i lavori delle Camere saranno molto più intasati di quanto risulti dal calendario. «È quasi impossibile che il Mes sia votato la prossima settimana, è molto probabile che slitti a quella seguente o a dicembre», spiegano dalla maggioranza. Ci vorrà tempo, insomma, per scrivere la parola «Fine» sulla vicenda.
Altro capitolo complesso è quello internazionale. Ieri Meloni ha ricevuto a palazzo Chigi il nuovo ambasciatore statunitense a Roma, Jack Markell.
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L’ottimo rapporto con Washington è confermato dal tweet fatto dal diplomatico dopo l’incontro: «L’Italia è un alleato, un partner e un amico prezioso, la cui leadership per la pace e la sicurezza in Europa e nel mondo è apprezzata». Quelle due parole, «pace» e «sicurezza», non sono lì a caso. Oltre alla necessità di continuare a sostenere l’Ucraina, in cima all’agenda statunitense c’è l’appoggio politico e militare ad Israele, al quale sono chiamati tutti gli alleati. L’Italia sta facendo tanto e le viene chiesto di continuare. Alla voce “buone notizie”, la premier può inserire invece la firma messa ieri da Sergio Mattarella al disegno di legge costituzionale per introdurre il premierato e abolire i senatori a vita nominati dal Quirinale. Anche se sul via libera da parte del capo dello Stato non c’erano dubbi, ora il testo del governo potrà essere presentato alle Camere.