Schlein e sinistra? Ricordano l'orrore della Shoah solo una volta all'anno
L’ipocrisia, le parole di circostanza. C’è un prima e un dopo. Il prima è il Giorno della memoria (quello di quest’anno e dell’anno passato e del precedente ancora): carico di lacrime versate per gli ebrei di Treblinka e di Bergen-Belsen e di Dachau. Il dopo è il dopo 7 ottobre, qualche timido proclama contro il terrorismo di Hamas che ci ha riportato al secolo scorso: stesse le modalità, la ferocia, l’odio antisemita. Oggi quella condanna è piena di “ma” e di “però”. Di distinguo (se va bene) e di slogan contro Israele (se va male). Le piazze pacifinte che chiedono il cessate il fuoco, ma solo a Gerusalemme. Che hanno già dimenticato gli ebrei morti non ad Auschwitz, ma a Be’eri e Ofakim e Urim. I tanti esponenti, tutti di sinistra, che prima (cioè il 27 gennaio) facevano a gara di solidarietà per le vittime del nazifascismo e dopo (cioè il 7 ottobre), davanti alle vittime del jihadismo, riparano dietro un è-colpa-dell’apartheid-israeliano.
Il 27 gennaio del 2020 Elly Schlein scriveva su Facebook: «Solo con l’esercizio costante della memoria, contro ogni indifferenza, possiamo davvero costruire un futuro diverso e migliore». Quel “contro ogni indifferenza” oggi è «fermare la strage di civili a Gaza» perché «non possiamo assistere alle violazioni del diritto internazionale». Il suo Pd è spaccato, che cosa pensi del conflitto in Medioriente è difficile capirlo, in bilico com’è su due piani, uno contro Hamas e l’altro sensibile alla causa palestinese. Nicola Fratoianni, il 27 gennaio del 2023, diceva: «Guai a imprigionare il Giorno della memoria nella gabbia della ricorrenza burocratica, per 365 giorni la Shoah deve essere viva nel ricordo di quello che è stato e che potrebbe ripetersi». Siamo nel pieno di quei “365 giorni”, l’orrore si è ripetuto la mattina di shabbat di un mese fa, e Fratoianni, assieme a tutta Sinistra italiana, partecipa ai cortei pacifisti tuonando che «a Gaza si consuma un crimine di guerra».
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In quegli stessi cortei sfilano pure il leader del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte (che ora è ancora più chiaro su Israele e dice: «La soluzione non è consentirle di bombardare la Striscia», ma che ieri, ossia il 27 gennaio del 2019, citava l’iper-citato Primo Levi: «Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario») e il portavoce di Europa Verde, Angelo Bonelli (che il 27 gennaio del 2022 chiedeva di «sciogliere le organizzazioni neofasciste di Verona» ree di aver «diffuso volantini aberranti» su una “palestra del fascismo” e che oggi va in televisione a ricordare il massacro di Sabra e Chatila, ovviamente dimenticando che quel massacro venne iniziato dai falangisti di Gemayel e che, comunque, generò un’ondata di sdegno in Israele, con 400mila persone pronte a chiedere la testa di Sharon: un popolo libero e democratico che non s’è mai visto a Ramallah).
Prima e dopo per l’ex sindaco di Napoli Luigi De Magistris. Prima (il 27 gennaio del 2017) con gli occhi lucidi alla commemorazione per Luciana Pacifici e Sergio De Simone, due bimbi ebrei napoletani trucidati dalle Ss; dopo: «Se Hamas è un’organizzazione terroristica mi interessa poco, per me è più terrorista uno Stato che compie un genocidio». Per il segretario della Cgil Maurizio Landini: il 27 gennaio del 2021 «Non vogliamo dimenticare quello che è successo» e ora tra le file dei disertori del Luccacomics per via del patrocinio dell’ambasciata di Israele. Per il primo cittadino di Milano Beppe Sala: prima (il 27 gennaio 2023) «Milano non è mai stata indifferente all’orrore nazifascista»; dopo, a circa una settimana dal pogrom di Sderot, intento a togliere la bandiera di Israele da Palazzo Marino, dove era stata issata assieme a quella arcobaleno che non si sa mai, con la scusa che «lo impone il cerimoniale».
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Ma a inorridire (giustamente) per l’Olocausto nel Giorno della memoria c’erano anche il presidente dell’Anpi Gianfranco Pagliarulo («Serve conoscenza e coscienza»); l’ex presidente della Camera Laura Boldrini («Faremo di tutto per garantire agli ebrei d’Europa un’esistenza tranquilla», era il 2015); addirittura il segretario generale dell’Onu António Guterres («Le Nazioni unite devono essere in prima linea nella lotta all’antisemitismo»). E che ora, passato il biasimo dovuto per la bestialità di Hamas, sguazzano nel calderone della retorica sull’occupazione di Israele sostenendo rispettivamente che: «Bisogna risolvere la questione alla radice attraverso la fine dell’occupazione nei territori palestinesi»; «È una Striscia blindata, dunque c’è un occupazione»; «L’attacco di Hamas è frutto dell’occupazione israeliana».
Intanto tornano le stelle di David sulle porte degli ebrei francesi, in Turchia alcuni negozi espongono il cartello «giudei non ammessi», i cimiteri ebraici vengono vandalizzati in mezza Europa. Non è neanche il momento di ricordare, è quello di aprire gli occhi. Perché mai-più significa mai-più e le differenziazioni, i tentennamenti, nel migliore dei casi i Ponzio Pilato che con lo striscione della pace pensano di aver risolto la questione, non servono a un tubo. «Preferisco le vostre condanne alle vostre condoglianze», diceva Golda Meir. Che pure era laburista: ma era anche tre spanne sopra certa sinistra di adesso, specie la nostra. Che senso ha piangere gli ebrei morti se poi si nega il diritto di difesa a quelli vivi?