Giorgia Meloni, Molinari la spara grossissima: "Mani sulla Repubblica"
"Le mani sulla Repubblica", titola... Repubblica. Il cortocircuito non è nel gioco di parole, semmai nei toni apocalittici scelti dal quotidiano diretto da Maurizio Molinari (con Massimo Giannini tornato di fresco in veste di editorialista avvelenato contro il governo) con cui viene affrontata la questione della riforma costituzionale a cui sta lavorando la premier Giorgia Meloni.
Il titolo è un chiaro riferimento a un celebre film di denuncia Le mani sulla città di Francesco Rosi. Allora, nel 1963, era una denuncia contro speculatori edilizi, corruzione, più in genere malaffare. Oggi, è il sottotesto suggerito da Largo Fochetti, c'è da combattere contro la medesima stirpe di politici rapaci, che non puntano a migliorare l'assetto istituzionale italiano ma semmai a impossessarsene, facendo fuori gli avversari dal naturale gioco democratico. E così il confronto sul merito, più che legittimo e anzi doveroso, si trasforma subito in una diatriba tra bene e male, da offrire a lettori che non aspettano altro di avere un nemico da abbattere. Forse, in assenza di una piena e soddisfacente rappresentanza a sinistra. Un giochino vecchio di 30 anni, ma sempre attuale nei salottini progressisti.
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Il catenaccio di Repubblica, peraltro, spiega alla perfezione tutta l'impostazione. "Il governo approverà venerdì la modifica costituzionale: elezione diretta del premier e meno poteri al Capo dello Stato. Via i senatori a vita, spunta la norma anti-ribaltone. Renzi: Io ci sto. No dal resto delle opposizioni: si va verso l'Ungheria". L'ex premier oggi leader di Italia Viva, alla guida di un governo del Pd, nel 2016 aveva tentato un'altra rischiosa riforma costituzionale, finendo di fatto azzoppato anche dal fuoco amico. La sua spinta innovatrice oggi diventa simbolo di un grande complotto anti-opposizione. E quel tocco finale, "si va verso l'Ungheria", sintetizza l'incubo peggiore della sinistra italiana dal 2018 a oggi, con Orban visto come il nuovo dittatore del mondo. In questo contesto, il pur acuminato intervento di Carlo Galli, che parla di "un salto nel buio", appare quasi moderato.
A questo proposito, la prima pagina de La Stampa è più sobria, almeno nel titolo decisamente in minore evidenza e meno strillato: "Elezione diretta del premier, il Colle pronto al via libera". L'approccio "laico" del presidente Sergio Mattarella suggerirebbe maggior prudenza in chi strilla all'attentato costituzionale, epperò il neo-direttore Andrea Malaguti affida l'analisi a un redivivo Montesquieu, ingombrante nom de plume quanto mai "in tema". Una colata di inchiostro decisamente più inquieta: il rischio, avverte l'anonimo commentatore, è quello di "incrinare la pienezza democratica". Insomma, in casa nei salotti sovvenzionati da Gedi e John Elkann stanno già preparando le barricate.
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