Giorgia Meloni, Hoara Borselli: femministe ciao, premier esempio per le donne
Anni e anni di sfilate contro il maschio becero e autoritario. Libri, cortei, manifestazioni, articolesse sui giornaloni corredate da analisi delle super esperte di quote rosa e parità di genere. E poi quella moda degli ultimi tempi: l’incaponirsi sugli asterischi al posto delle desinenze maschili, sull’impronunciabile linguaggio schwa che dovrebbe essere simbolo di inclusione, mentre è solo una dissimmetria grammaticale che cancella l’identità delle donne perché rappresenta l’indistinto, né donna, né uomo: neutro.
Nel 2017 siamo passate pure dal Metoo e sembrava una rivoluzione epocale per tutte: dagli Stati Uniti all’Italia, dal mondo luccicante e aperto di Hollywood alle aziendine di periferia o ai territori dove ancora imperversa una mentalità maschilista. Per la prima volta l’uomo di potere avvezzo a molestare le sottoposte, il ricattatore seriale che diceva o me la dai o non lavori più, è stato messo al muro, smascherato, inchiodato alle proprie sconcezze e denunciato come sex offender, il criminale che si macchia di reati sessuali. È stato di sicuro un momento di apparente grande riscossa femminile, specie dal punto di vista mediatico, era cinema, non a caso è partito tutto da lì. Ma a pensarci adesso, cosa è rimasto di quello scandalo? Un paio di mostri schedati e pensionati prima del tempo, mentre altri illustri maialoni che rischiavano l’ergastolo sono stati assolti e riabilitati e alcune illustri accusatrici si sono rivelate poco credibili al punto da avere contribuito ad affossare la causa comune.
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Ci sono ragazze, soprattutto all’estero, che credono ancora alla lotta femminista, altre che scendono in piazza ogni 8 marzo perché si deve fare così anche se magari non sanno bene i motivi. Ci sono le erinni di “Se non ora quando”, nate in appoggio alla sinistra quando governava Berlusconi, e le nipotine di “Non una di meno” che provano a esistere, tra uno slogan in cui invocano più asili nido e un altro rivolto al ministro sessista di turno. Elogiano la famiglia queer e attaccano il centrodestra. Ogni volta sempre lo stesso copione Ora però è successo qualcosa. Un gesto che vale più di mille cortei, rivendicazioni, cartelli contro il maschio dominante e dominatore. Con un solo post Giorgia Meloni ha scompaginato tutto, ha superato a destra le femministe più agguerrite, ha mostrato che una donna, se vuole, è più forte della piccola isteria che anima le intruppate del politicamente corretto attente alla a alla fine della parola. Meloni ha detto basta a un uomo con cui è stata dieci anni, il padre di sua figlia, bello e un tempo amato. Addio e non se ne parli più. Nessuna retromarcia, nessun tentennamento. Come sta oggi?, le hanno chiesto. «Bene, ma non ho più niente da dire». Si va avanti, in fin dei conti c’è un Paese da governare e una bambina a casa che aspetta la mamma.
Quante altre donne l’avrebbero fatto? Quante altre madri sarebbero state altrettanto risolute nel mettere alla porta il padre della loro creatura? In quante di noi avrebbe invece prevalso la spirito da crocerossina, il giustificazionismo delle spacconate dell’altro, l’autoconvinzione che «ora gli parlo e gli spiego che non dovrà farlo mai più?». A sinistra criticano la Meloni perché non fa abbastanza per le donne, ma con un post ha fatto molto. E però la criticano le varie Cuzzocrea, Lucarelli, Valerio, senza troppi argomenti. Si dice che lasciare è sempre molto più difficile che essere lasciati. Ne sa qualcosa Hillary Clinton, allora moglie del presidente americano Bill, che pure di fronte al peggiore dei tradimenti (l’uomo di potere che va con la stagista 25enne, un Metoo ante litteram) è rimasta al suo posto. Certo: meglio fare la first lady anche umiliata, bel simbolo per tante battaglie femministe. Se dopo la Clinton ha perso le elezioni è stato anche per quel rimanere con il marito adultero, per avere mostrato un’idea di famiglia perfetta che invece tale non era. Meloni ha capito che proseguire una storia piena di spifferi come quella con Giambruno le avrebbe fatto male, come premier e come donna. È stata lei a decidere, lei a mostrare autonomia, coraggio e libertà. Proprio come rivendicano le femministe di sinistra. Solo che loro parlano, scrivono, sfilano. Lei l’ha fatto davvero e le ha zittite.
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