Gabriele Albertini: "Il cane Fred, Giovanna e quell'idea di Bossi. Vi confesso tutto"
Nell’ufficetto al primo piano del grande palazzo di City Life, Gabriele Albertini passa in rassegnai suoi cimeli: la Lettera 22 di Montanelli, la bacchetta magica di Riccardo Muti, «il mio busto da vivo che non ordinai ma mi fu regalato», la collezione delle onorificenze, l’armatura di un legatus legionis, la foto con il casco da aviatore nel giorno in cui ruppe il muro del suono e naturalmente Megan Gale in tutte le pose... nuda sulla copertina di Max (con tanto di dedica «for my favourite sindaco»), poi sensuale e casta nella campagna contro i graffiti e l’abbandono dei cani.
«Ci provai a travestirmi da cagnolino e adagiare la testa sulle sue ginocchia per essere coccolato ma non ci fu niente da fare e mi scoprì subito!». Scherza sempre il sindaco di Milano, che non sarà mai ex perla sua città. E quando comincio l’intervista, francamente intima e niente affatto politica, si accomoda in poltrona con il cane Fred ai piedi e mette insieme i tasselli di un presente affettuoso e pieno in cui riaffiorano sentimenti e turbamenti antichi, persino il dolce cullarsi di quand’era bambino in attesa della notte che porta buio e domande.
Ci presenti Fred.
«Fred è il bellissimo boston terrier del mio caro amico, il principe Francesco Pignatelli, che è ingegnere e lavora alla Comunità Europea. Si è appassionato a questa razza da quando regalai un cucciolo ad una mia fidanzata “storica” che era anche sua amica. E ora me lo dà in affido una volta a settimana per il tempo che trascorre via. A novembre compirà un anno».
Che tipo è?
«È socievole e ci comprendiamo molto bene. Lo porto al parco dietro le tre Torri di City life dove incontra spesso la frizzante Kira, femmina della stessa razza di Giovanna Civitillo e Amedeo Sebastiani».
Ovvero Amadeus?
«Per l’appunto! Sono amici inseparabili».
E Fred che fa?
«È semplicemente stupendo, giudizioso, disponibile. Pur essendo di razza minuta ha lo spirito di un boxer. Sono letteralmente conquistato dal suo ardimento. Ha visto la mia foto con lui? Ho la faccia di chi ha perso completamente il senso della realtà...».
Ma perché non adotta un cane suo?
«Siamo troppo anziani io e mia moglie e sarebbe molto impegnativo accudirlo o farlo scendere nelle sere d’inverno. Giovanna è esigentissima nelle pulizie, in casa non c’è un solo granello di polvere».
Ha avuto altri cani?
«Più volte ma erano quelli delle mie fidanzate. Si affezionavano a me perché capivano che sono cagnoso. Questo però è il mio primo cane in affido...».
State bene insieme?
«Quando sono in ufficio non mi molla un attimo. Appena mi siedo alla scrivania vuole salire sulle ginocchia. È un cane cucciolo di grande sapienza e si comporta da adulto. Le faccio un esempio. Noi abitiamo al decimo piano di questo stesso complesso ma in una scala diversa. Lui sa benissimo che quando varchiamo la porta deve andare di sopra. O che quando entro in casa mi dirigerò in palestra. Un giorno usciamo dall’ufficio e lo tengo al guinzaglio. Lui si blocca sulle scale come paralizzato, allora mi siedo sul gradino accanto a lui e comincio a parlargli come avrei fatto con un bimbo di tre anni: “Perché non vuoi scendere? non devi aver paura... è facile, l’hai fatto altre volte...” Lui ascolta e dopo un attimo si sblocca. Le dirò di più: non viene mai se non è gradito».
La diverte averlo accanto?
«Diciamo che mi inonda di tenerezza. Non è la stessa cosa di un amico, ma c’è una profonda condivisione, una compensazione di lacune e vuoti...».
Una sensazione inaspettata...
«Scoprire la tenerezza del cucciolo è come ritrovare l’emozione di me bambino. Ricorda la poetica del fanciullino di Pascoli? Quel sentimento che nella vita adulta nascondiamo agli altri, oberati come siamo dagli impegni e dall’esigenza di razionalizzare tutto, riaffiora e risuona in un momento della vita in cui si è più anziani. Essere vecchi l’è quella roba lì, come diciamo noi milanesi».
Ma lei non è anziano, Albertini.
«Io ho 73 anni. E le faccio una confessione, senza pudore e senza nascondermi. A tre anni dormivo con un orsacchiotto di peluche per trovare conforto e calore e adesso che sono anziano e trovo questo cagnolino nel letto che poggia il suo musino sul cuscino e si addormenta con me ricordo quel momento. Tra l’orsacchiotto che avevo da bambino e Fred ci sono 70 anni di differenza. Ma c’è una conciliazione con il mio io bambino ed è bellissimo scoprire o riscoprire la tenerezza di quell’età e abbandonarsi al sentimento. È lo stesso desiderio di calore e di avere un essere senziente accanto».
Sua moglie è d’accordo?
«Mia moglie con lui è più affettuosa di me».
Albertini si interrompe. E torna al grande scaffale che è un puzzle di ricordi, messaggi, attestazioni di stima e di una vita che non è mai stata come le altre. «Le faccio vedere la foto di mia moglie per dimostrarle che esiste. C’è stato un tempo in cui qualcuno dubitava di questo». Mi mostra Giovanna accanto a lui poco tempo fa, e poi nella foto dell’ultimo libro (“Rivoglio la mia Milano”, ed. De Ferrari) quando si erano appena conosciuti... aveva un viso incantevole, il capello sbarazzino «ma è molto riservata, non ha più voluto comparire».
Eravate bellissimi.
«Era molto bella... anche io ero passabile».
Ha citato le sue fidanzate prima. Quante ne ha avute?
«Non poche. Diciamo che dai 17 anni in poi sono stato parecchio interessato alla “Divina Fessura”, per citarle D’Annunzio. La mia fortuna è stata avere a 21 anni una Porsche 911 S Targa del ’71, con le ragazze era un punto a favore».
E poi che è accaduto?
«Mi sono sposato perla prima volta a sessant’anni. E non sono omosessuale».
In effetti si diceva anche questo.
«Che fossi omosessuale? Lo so bene, l’aveva messa in giro Bossi la voce. Siccome mia moglie non compariva mai e io avevo modi gentili e delicati e non ero affatto volgare, il senatur aveva alimentato il pettegolezzo. Ma era una questione prettamente politica. Al Formentini maschio, quadrato e spigoloso gli piaceva contrapporre Albertini mieloso e debole. Fu sostanzialmente un atto di forza della Lega contro una condotta che veniva percepita come poco virile. Mi pare di aver ampiamente dimostrato di avere un carattere decisionista».
Ci parli di Megan Gale.
«Un’amica. Come l’attrice israeliana Moran Atias, anche lei donna bellissima e cara. Abbiamo fatto diverse cose insieme».
Ma per Megan aveva un debole, adesso può dirlo.
«Megan era una vera dea. Un desiderio vivente ma anche un’aspirazione molto casta per me, sebbene avesse un aspetto che lasciava immaginare qualsiasi cosa. Mi ricordo quando venne la prima volta a Palazzo Marino. Era la miss della tappa finale del Giro d’Italia. Un’australiana di 23 anni in un edificio del 1500! Guardava le pareti e gli affreschi come Alice nel paese delle meraviglie. Ammiravo la sua purezza e la sua curiosità vivace, senza retropensieri».
Fred ci interrompe. Sta divorando un osso di pelle di bufalo, «fermooo che poi vomiti... le dico un’altra cosa...», aggiunge Albertini.
«Ammetto che mi piace molto riuscire a trovare in lui qualcosa di umano, ma Fred ha davvero un grande senso etico. L’altro giorno aveva rigurgitato in ufficio, io lo cercavo da tutte le parti ma lui si era nascosto in un anfratto e non voleva uscire. Stava sulle sue, si sentiva in colpa. Ho trovato splendido il suo senso di autopunizione per un qualcosa che aveva fatto e percepiva come riprovevole e non gradito al padrone».
Sindaco, ma lei si sente un pensionato?
«Sì, ma molto attivo. Sono nel cda di due aziende quotate in borsa e sono pagato molto più dei miei meriti. Poi faccio gratuitamente molta attività di volontariato, partecipo a iniziative culturali, collaboro con il Centro Studi Grande Milano. Tengo conferenze, presento libri miei e degli altri. E naturalmente, quando esco, guardo i cantieri che completano City Life».
Un umarell anche lei, non mi dica?
Albertini ride.
Invecchiare la spaventa?
«L’invecchiamento in sé non mi spaventa se è come adesso. Senectus ipsa morbus (la vecchiaia è per sé stessa una malattia, ndr) ed è dolce fino a prova contraria, ma a parte le limitazioni erotiche che sono un bene perché bisogna darsi una calmata a un certo punto della vita non vedo problemi. Indro (Montanelli) mio amico e maestro diceva sempre “non ho paura della morte ma del morire”. La morte è un salto nel mistero, in una dimensione che ognuno decide in base al suo credo, ma quello che cambia è il modo in cui si muore. Quando chiesero ad Agnelli come volesse congedarsi da questa vita rispose: “più tardi possibile e in fretta”. Per me vale lo stesso».
Lei non ha figli se non sbaglio...
«Non ho figli e neppure mia moglie. Ma ho un fratello e due sorelle, sei nipoti e 10 pronipoti. Mia moglie ha 5 nipoti e 2 pronipoti. Insomma siamo una grande famiglia».
Mi dica di sua moglie Giovanna che abbiamo scoperto esistere davvero.
«Dietro il viso delicato e fine che vede nella foto da ragazza e che è rimasto lo stesso negli anni si cela un carattere d’acciaio, una forte volontà e sensibilità, dei valori importanti. Ha una correttezza e un rigore morale ammirevoli. È una persona giusta. Giustamente arrogante con gli snob e umile con le persone modeste. D’altronde è la nipote di una grande imprenditore e benefattore».
La ama molto vero?
«È una bella esperienza essere nell’amore dopo essere stati innamorati. Spesso succede di diventare freddi e aridi dopo l’innamoramento. Noi invece siamo uniti da una tenerezza profonda. Le persone che ci vedono insieme ce lo dicono spesso, “siete una coppia affiatatissima”».
Le manca fare il sindaco?
«No mai... proprio ieri sono stato a trovare Sala».
E quindi?
«E quindi adesso ho molto più tempo per me. E ovviamente per Fred».
Ora sdrammatizzo Albertini. Come titoliamo questa intervista: da sindaco a dog sitter?
«In effetti, potrebbe essere una sintesi corretta».