Israele e Hamas, il cortocircuito della sinistra su vittime e carnefici
Non sono passate nemmeno ventiquattro ore fra l’annuncio del Nobel per la Pace, che l’Accademia di Stoccolma ha quest’anno assegnato a Narges Mohammadi, fiera oppositrice del regime iraniano degli ayatollah, e la notizia dell’aggressione ad Israele da parte di feroci terroristi di Hamas che non hanno esitato a commettere i più truci delitti anche fra la popolazione civile.
Il fatto che Hamas sia armata e sponsorizzata da Teheran, che ha subito espresso il suo plauso all’attacco augurandosi ancora una volta che lo Stato ebraico scompaia dalle “carte geografiche”, mostra chiaramente come le vicende del Medio Oriente siano tutte interconnesse e legate da fili non certo sottili. Chi non sembra capirlo, per interesse o per ignavia, è proprio la sinistra globale, quella che esercita la sua forte influenza nelle accademie e nei gotha del potere culturale occidentale e che vorrebbe tenersi la botte piena e la moglie ubriaca.
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IN CONFUSIONE
Da una parte, quella sinistra ha all’unisono plaudito, giustamente, alla consegna del Nobel ad una attivista dei diritti umani, una di quelle donne tenaci che sfidano ogni giorno gli ayatollah per affermare null’altro che il loro diritto di vivere, vestirsi e studiare liberamente. Dall’altra, al contrario, essa si è sempre particolarmente distinta nel condannare Israele, che è l’unico stato democratico della sua area geogrfica, strizzando l’occhio a formazioni terroristiche come gli Hezbollah o la stessa Hamas, in nome di un diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione che nei fatti non sarebbe altro che la fine dello stato ebraico. Cioè l’instaurazione di una nuova e corrotta autocrazia che certo non garantirebbe i diritti umani e men che mai quelli delle donne rivendicate da attiviste come Mohammadi.
CONTRO L’OCCIDENTE
Come si spiega questa schizofrenia è presto detto: la sinistra era e resta profondamente antioccidentale e Israele, ai suoi occhi, rappresenta una appendice di Occidente in una zona del mondo che è già Oriente. Una situazione che imbarazza ancora di più in momenti come questo, cioè quando al potere a Gerusalemme è un partito di destra guidato da un coriaceo “eroe nazionale” come Bibi Netanyahu, la cui opzione occidentalista è netta e inequivocabile.
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Non dimentichiamo che l’attuale leader israeliano nei mesi scorsi è stato oggetto, da parte della sinistra, di una profonda campagna di denigrazione per una riforma della giustizia che, al contrario di quel che pure si è fatto credere, può non piacere ma è in piena continuità (e come potrebbe essere altrimenti?) con in principi dello Stato di diritto su cui è fondato Israele.
Questo movimento globale antiisraeliano perché antioccidentale nasce soprattutto nei campus universitari americani e in genere anglosassoni, culla di un “pensiero radicale” che al tradizionale marxismo di alcune élite autoctone ha visto sommarsi negli ultimi anni un terzomondismo e “orientalismo” acritico che ha trovato ulteriore alimento nella presenza di studenti provenienti dai Paesi non occidentali. In costoro, è come maturata una esigenza di rivalsa acritica che ha messo in discussione persino programmi e autori da studiare. Finendo per promuovere una cultura del risentimento e vittimistica che addebita ogni nefandezza alla cultura occidentale.
COLPEVOLI PER DEFINIZIONE
È in questo brodo di coltura che nascono anche i sempre più forti movimenti di boicottaggio intellettuale verso gli studiosi israeliani, rei di essere cittadini di uno Stato “colpevole” per definizione perché fortemente ancorato nella cultura occidentale. Che poi questa indiscriminata colpevolizzazione metta capo a patenti cortocircuiti, come quello di chi critica l’Iran e vorrebbe uno Stato “iraniano” al posto di Israele, sembra non interessare più di tanto della trionfante cultura mainstream.