Magneti Marelli, così gli operai scappano da Calenda
La prova che, per quanto si sforzi di fare ragionamenti liberali e sensati, sotto sotto Carlo Calenda è un leader di sinistra si è avuta davanti ai cancelli della Magneti Marelli. Il fondatore, segretario, capo e praticamente unico sostenitore del partito Azione è riuscito nel capolavoro di unire padroni e operai, capitale e sindacato. Naturalmente contro di lui, che minaccioso inseguiva le tute blu minacciando: «Sono qui per parlare». E quelle lo ignoravano... «Naturalmente se volete», precisava educato. «Ma vuoi inseguirci fino a casa?», la replica meno cortese. «Beh, almeno fino all’entrata».
Insomma, l’infaticabile Cassandra del capitalismo sostenibile è stato scaricato dai lavoratori neanche fosse ancora un rappresentate del Partito Democratico. È fatale che ci venga da ridere, ma in cuor nostro soffriamo. Già, perché il lato drammatico della storia è che Calenda stavolta ha ragione, ragionissima; solo che gli operai che lui vuole proteggere preferiscono ascoltare Maurizio Landini, il segretario della Cgil, che a essere onesti lo aveva pure avvertito: non venire, fai una brutta fine. Tutti noi avevamo supposto fosse una minaccia, un’affermazione intimidatoria invece no, poveri compagni, stiamo sempre a pensare male di loro, era un consiglio, un avvertimento amorevole: se ti fai vedere da queste parti, matematico che incappi nella figuraccia.
"Perché gli serve il sostegno di Repubblica": la bomba di Calenda su Landini
Riassumiamo. Magneti Marelli annuncia la chiusura dello stabilimento di Crevalcore, circa 230 dipendenti e il leader di Azione punta il dito contro Landini. Racconta che quando lui era ministro di Renzi, andò da Marchionne offrendo di mettere insieme una cordata italiana per rilevare lo stabilimento ma quello rifiutò.
RIMPIANTO PER MARCHIONNE - Poi il grande manager morì e gli Elkann si precipitarono a cedere l’attività a un fondo giapponese, senza mettere vincoli di non cessione dei brevetti o non chiusura dello stabilimento. Si poteva fare, spiega Calenda, ma il governo di Conte, l’avvocato del popolo, se ne fregò.
Più scandaloso del leader grillino però è Landini, che sbraita tutti i giorni per difendere i lavoratori ma all’atto pratico non fa mai nulla per loro. E perché? Perché fa politica e non attività sindacale, è l’uovo di Calenda, e siccome gli Elkann possiedono Repubblica, il capo della Cgil non li attacca, perché ha bisogno del quotidiano alfiere della sinistra perfino più di quanto non ne abbia Elly Schlein.
Tutto plausibile, probabilmente vero, sicuramente chiarissimo. E allora perché a Crevalcore l’ex socio di Matteo Renzi non è stato accolto da due ali di folla che si aprivano plaudenti al suo passaggio? Forse che le tute blu prossime alla cassa integrazione sperano tutte di essere riciclate nella futura lista Landini?
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Più probabilmente, la disperazione non ha fatto perdere agli operai un sano realismo. Sanno che Calenda è un bravissimo Grillo Parlante; quando c’è da denunciare, attaccare, insegnare, prevedere, è il numero uno. Ma allorché la pugna passa dalla sfida verbale all’incasso pratico, Carlo braccio di ferro diventa più flebile e vaporoso di Olivia e chi si era messo dietro di lui scambiandolo per uno scudo d’acciaio ne scopre la consistenza flaccida. Ma la vera sconfitta, non per lui, ma direi per l’intero sistema-Paese, è che la Fiom risulti credibile agli occhi di un licenziando. Un sindacato che in vent’anni non ha fatto assolutamente nulla per i lavoratori, disinteressato ancor prima che incapace a difendere potere d’acquisto delle buste paga e livelli di produttività, privo di visione industriale e inevitabilmente complice anziché antagonista ogni volta che qualcuno ha chiuso un’industria in Italia negli ultimi vent’anni. Lo diciamo con rassegnata stima e vivo dispiacere, perché siamo davvero convinti delle doti cerebrali e visionarie del capo di Azione, ma c’è qualcosa in lui che, come agli operai della Magneti Marelli, alla fine non convince. Insomma, lo inviteremmo volentieri a cena per farci spiegare l’Italia e chiedergli consiglio, ma non gli daremmo mai le chiavi di casa.