Elly Schlein, la linea del "nuovo" Pd? Più canne e meno lavoro
Venghino siori, al Gran Bazar delle suggestioni a sinistra, che apre i cancelli in vista delle elezioni europee. Ormai, la dinamica in corso da quelle parti è chiara: il campo largo viene messo per l’ennesima volta in congelatore, mentre Pd e 5Stelle si contendono la quota più radicale dell’elettorato. A botte di demagogia. La segretaria dem Elly Schlein imputa a Giuseppe Conte accelerate propagandistiche ma, in realtà, non è da meno. Così, ieri in un’intervista a Fanpage ha lanciato alcune proposte ad alto tasso pirotecnico. Una è sulla settimana lavorativa di 4 giorni. «Il mio gradimento è alto», ha detto. «La riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, dove la stanno sperimentando in Europa e anche alcune aziende in Italia, dimostra che c’è addirittura un aumento di produttività».
LA CONVINZIONE
E ancora: «Lavorare troppo e male non aumenta la produttività. Siamo un Paese che lavora di più mediamente rispetto ad altri, dove invece la produttività è migliore. È una misura che porta con sé alcuni benefici importanti: non solo il prezioso tempo delle persone, da dedicare ai propri interessi e ai propri affetti. Migliora anche dal punto di vista della riduzione delle emissioni climalteranti, perché diminuisce gli spostamenti. E poi aiuta anche nel riequilibrio di genere nel mondo del lavoro. Insomma, abbiamo diverse ragioni per provare a sperimentare questa misura». Piano. Perché a ridurre un tema molto serio a bandierina si finisce per banalizzarlo. L’intento di Schlein è chiaro: sventolare sotto il naso di certo elettorato la chimera del “lavorare meno”, competendo così con lo storico core business elettorale su cui il Movimento 5Stelle ha costruito una fortuna sul piano del consenso (sin dai tempi delle primissime sortite di Grillo sul suo blog, teorizzando una società con un’inclusione sociale basata non sul lavoro, ma sul reddito addirittura universale).
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Vero che la formula della settimana corta è esaminata, da tempo, dagli tutti gli schieramenti (anche nel centrodestra). Però occorre parlarne con cautela e senza entusiasmi definitivi: al momento le sperimentazioni che sono in corso in vari Paesi del mondo non consentono di avere quadro conclusivo ed esaustivo, basandosi soprattutto su applicazioni pilota e molto molto specifiche. Nel complesso, certamente migliora la qualità della vita dei dipendenti, in qualche caso anche la produttività, ma sull’occupazione non si denotano avanzamenti significativi. L’assunto tradizionale della sinistra del “lavorare meno, lavorare tutti” con questa formula non funziona. Piuttosto, prima di rendere prioritaria questa modifica nell’organizzazione del lavoro (a parità di salario sarebbe un bel po’ utopistico), sarebbe urgente concentrarsi sulle vere cause della ridotta produttività in Italia, che come rilevato da molteplici studi si individuano la difficoltà nel fare impresa (tra burocrazia e accesso al credito, tema su cui si è anche aggiunta la clava delle politiche Bce sui tassi), il divario territoriale, il disallineamento tra domanda e offerta di competenze, la scarsa digitalizzazione. E ciò implica una politica del tutto contraria al racconto di una conflittualità impresa-lavoratore tanto caro alla Cgil e, di converso, anche a Schlein. L’altro tema caro a Elly Schlein è un ever green, la depenalizzazione delle droghe leggere: «È una misura necessaria», ha scandito la segretaria Pd.
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CANNABIS LIBERA
«Nei Paesi dove già è stato fatto si dimostra che depenalizzare non aumenta il rischio, anzi si può controllare meglio il rischio con una buona informazione. E poi serve per scalzare il traffico di stupefacenti che arricchisce le mafie». Per demolire la validità di questa argomentazione, basta andare a leggere sia gli studi scientifici che qualificano in consumo di droghe leggere come porta d’accesso a quelle pesanti, sia quanto ripetutamente predicato dal neo Procuratore di Napoli Nicola Gratteri. Secondo il quale il mercato nero (e dunque il traffico gestito dalle mafie) non sarà mai terremotato dalla depenalizzazione perché la canna legale costerà sempre di più di quella illegale, oltre al fatto che la criminalità organizzata trae una quota molto marginale di profitto dal traffico di droghe leggere.
Ma sono, quelli di Schlein, espedienti per fidelizzare, nell’uno e nell’altro caso, quote di elettorato. Completa il puzzle un’altra argomentazione, che proposta non è, ma ha sempre una finalità attrattiva, stavolta verso l’elettorato più ambientalista: il Ponte sullo Stretto di Messina, ha detto, «penso sia un progetto veramente anacronistico, estremamente costoso. Penso sia la strada sbagliata». Unendo i puntini, tra la settimana corta, la cannabis e il no al Ponte, si ha un Pd ancora ben poco rassicurante verso la quota (ormai residuale) di moderati del centrosinistra rimasti al suo interno. Oltreché ben lontano dalle priorità dell’agenda economica e sociale. Propaganda sì, quindi, e neanche tanto azzeccata.