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Schlein, "anche perché sono donna". È finita: casting Pd per farla fuori

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Pietro Senaldi
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C’è una controrivoluzione in atto a sinistra. Elly Schlein, che venne accolta, o meglio raccontata, dall’universo che ruota intorno ai dem come la risposta giusta alla Meloni, perché donna, giovane, portatrice di tematiche considerate moderne come l’ultra-ambientalismo, i valori lgbt, la de-occidentalizzazione del Paese comincia a dare sui nervi a chi dovrebbe sostenerla. La battuta di Lilli Gruber, feroce, che le rimprovera in diretta di non saper parlare alle persone, è un segnale del fatto che quel mondo di intellettuali, affaristi, notabili che avevano sempre avuto la ditta come bussola di riferimento nonché ufficio di collocamento si sono resi conto che Elly non li porterà da nessuna parte. Certo, forse la nuova segretaria guadagnerà qualche spicciolo nei sondaggi, ma non sufficiente per impensierire la maggioranza né per saziare gli appetiti di lorsignori, dei quali anzi la leader non fa mistero di voler fare piazza pulita.

 

 

 

Fino a oggi lo schema di questa élite di potere per riprendersi quel che gli elettori gli hanno tolto democraticamente è sempre stato sparare sul governo e pompare una personalità che possa prendere le redini del Paese, con l’appoggio, ben ripagato, del Pd. Il bombardamento contro la Meloni è già intenso, al punto che la nostra premier viene, contro ogni evidenza, descritta come isolata in Europa anche se ha impiegato un giorno a portare la presidente Ue, Ursula von der Leyen a Lampedusa, dove sarà oggi. Il ribaltone non è possibile, sia perché la maggioranza di centrodestra è solida, sia perché i dem della Schlein, che insegue Conte e si fa dettare l’agenda da Landini, non sono affidabili.

C’è mezzo Pd incerto se aspettare che la segretaria si bruci o tentare altrove miglior fortuna. L’irrompere di Elly ha lasciato il mondo progressista senza padroni; è evidente dal fatto che da quelle parti, dove la lotta per il potere viene truccata e rivenduta come pluralismo, neppure più si dibatte e si litiga. Zitti, si lavora sotto coperta, facendo sponda con l’Europa, che stavolta però pare tirata in mezzo a sua insaputa, in quanto la nuova dirigenza non pare in grado di relazionarsi oltre il Canton Ticino. In questa situazione, la Schlein risponde accusando i suoi di essere maschilisti. L’insofferenza nel partito, le ha domandato ieri Enrico Mentana, può essere dovuta anche al fatto di essere la prima leader donna del Pd? «Sì», ha risposto lei, «è sicuramente anche per questo».

Gli esodati dalla segretaria tirano in ballo i vecchi leoni, da Letta a Gentiloni, rivendicano primogeniture su Monti e Draghi. Insomma, quella sinistra che ormai ritiene la segretaria impresentabile, cerca di costruire un cartello di intelligenze al quale aggrapparsi per un futuro migliore. È partito il casting, perfino il presidente uscente di Confindustria, Carlo Bonomi, viene tirato per la giacca, malgrado si batta contro il salario minimo, e definito “l’anti-sovranista”. Tutto fa brodo, si registra anche un certo affollamento; mancano solo gli elettori, lo spazio, il leader.

 

 

 

Già, perché di partiti degli intelligenti ce ne sono, e ce ne sono stati, parecchi, tutti accomunati dal fatto di non aver fortuna nell’urna. Attualmente il fronte degli europeisti autorevoli e ragionevoli è occupato da Renzi, Calenda e pure Bonino, che in tre sono già troppi rispetto alle persone a cui si rivolgono. Il guaio è che sono comunque molto più leader loro di quanto non abbiano mai dimostrato di essere Letta, Gentiloni o quant’altri. Solo che non sono riciclabili alla causa. I malpancisti dem poi fanno i conti senza l’oste, ossia il consenso dei cittadini. Già danno per morto il progetto della Meloni di ribaltare la maggioranza in Europa dopo il voto del 2024 e raccontano che la leader italiana si starebbe spostando su posizioni radicali solo perché è andata in Ungheria o ha polemizzato con Francia e Germania sulla gestione dell’emergenza migranti. In realtà non è il centrodestra, che oggi ospita in Italia la leader del primo partito francese e quella dell’Europa, a non avere contatti internazionali. È il Pd che, avviando un processo di estremizzazione, finanche in politica estera, ha tagliato i rami con l’Europa e perfino con i suoi storici esponenti capaci di relazioni internazionali. La segreteria della Schlein, che ha spaccato il fronte sinistro, ci sta facendo assistere a un curioso spettacolo. È ripartita alla grande la macchina da guerra anti-centrodestra ma mancano esercito, strategia e possibilità di conseguire risultati concreti.

 

 

 

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