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Giorgia Meloni, rivelazione e accusa: perché il Pd è un pericolo per l'Italia

Alessandro Sallusti
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Pubblichiamo per gentile concessione dell’editore un estratto del libro-intervista di Alessandro Sallusti a Giorgia Meloni «La versione di Giorgia» (Rizzoli, pp. 240, 18 euro), in uscita oggi.

Perché a sinistra c’è tanta ostilità al solo pronunciare le parole «riforma costituzionale»?
«Perché ragionano prevalentemente in base all’interesse di partito. E l’interesse di partito dice loro due cose: la prima è che non conviene un sistema nel quale il potere si rimette nelle mani dei cittadini e si toglie al palazzo la facoltà di fare e disfare i governi. Del resto, loro sono molto più bravi a muoversi nel palazzo che tra la gente; la seconda è che un sistema del genere renderebbe impossibili i tentativi di ribaltone, i sotterfugi, il disarcionamento dei governi messo in campo dal loro sistema di potere, utilizzando strumenti che con la politica hanno poco a che fare. È l’unica spiegazione possibile, perché non ce n’è un’altra. Una riforma del genere non conviene a me o a Fratelli d’Italia, conviene alla nazione e a tutta la sua classe politica, perché presumo che potremmo non vincere sempre noi. Quindi converrebbe anche a loro quando dovessero prevalere nelle urne. Per questo mi sento serena quando dico che la riforma si farà, con o senza il loro appoggio. Perché so che anche se loro dovessero osteggiarla è una cosa fatta nell’interesse dell’Italia, e un giorno potrebbe perfino tornare utile ai miei avversari. È una riforma giusta, questo è il punto. O, almeno, è quello che chiederò ai cittadini di confermare quando nel caso in cui non ci fossero voti sufficienti per approvarla con la maggioranza dei due terzi del Parlamento verranno chiamati a esprimersi nel referendum confermativo».

E gli italiani capirebbero? Non per fare paragoni, con Renzi non l’hanno capito.
«La riforma di Renzi non toccava questo tema, il più importante, ed era molto pasticciata sul resto. Era macchinosa e sostanzialmente inutile. E poi Renzi aveva fatto l’errore di trasformare il referendum sulla riforma in una specie di giudizio sul suo operato e su quello del suo governo. Una scelta ingenua, che portò perfino un pezzo del suo partito - dal quale notoriamente Renzi non era particolarmente amato - a boicottarlo. Io non credo che il referendum sulla riforma costituzionale debba essere un referendum sull’operato del governo o del presidente del Consiglio. Io mi limiterò a spiegare ai cittadini come può migliorare il futuro della nazione, e gli italiani decideranno cosa sia meglio per loro indipendentemente da me. Loro mi hanno dato il mandato di proporla, con le elezioni politiche, e io la proporrò. E a quel punto sempre loro decideranno se andrà fatta. Io sono solo uno strumento per realizzare quello che loro hanno detto di fare. Per questo il precedente di Renzi non mi fa paura. In ogni caso, io lavorerò per trovare l’accordo in Parlamento con tutta o parte dell’opposizione per non “disturbare” gli italiani. Ma se non riuscirò a raggiungere questo obiettivo e si dovesse ricorrere al referendum, basterà porre due domande molto semplici. La prima: vuoi decidere tu chi debba governare? La seconda: vuoi che quel qualcuno che hai scelto per governare abbia cinque anni per farlo? Mi paiono due domande di buon senso, e gli italiani hanno molto più buon senso di quanto la politica spesso riconosca loro».

Restiamo in tema di riforme ma cambiamo argomento: autonomia regionale.
«La sinistra ci accusa di voler spaccare la nazione. Anche questo, ovviamente, non è vero. Figurati se un partito come il mio, Fratelli d’Italia, che ha fatto dell’unità nazionale la sua bandiera, tanto da essere ironicamente tacciato di essere un movimento neorisorgimentale, potrebbe mai porsi l’obiettivo di dividere l’Italia. Ti sembra che potrei intestarmi, io che ho messo l’inno di Mameli nel nome del partito, qualcosa che contraddica la mia stessa ragione sociale? Non scherziamo, l’unità nazionale non è in discussione, ma questo non vuol dire che tutte le regioni d’Italia abbiano gli stessi problemi, le stesse necessità e le stesse ambizioni. Semmai è l’inverso: soffocare aspirazioni legittime, e la motivazione per dare di più e fare meglio, può provocare esattamente l’effetto opposto, cioè dare fiato in modo scomposto a istanze pericolosamente separatiste. Del resto i cittadini di Lombardia e Veneto attendono una risposta dal 2017, da quando cioè approvarono a larghissima maggioranza un referendum che chiedeva più autonomia. Così come aspetta riscontro la stessa volontà manifestata in questa direzione, in questi anni, e sotto altre forme, da altre regioni come l’Emilia-Romagna, il Piemonte, la Liguria, la Toscana, l’Umbria, le Marche e la Campania. Pensiamo davvero che continuare a fare finta di niente sia la cosa più produttiva, anche per l’attaccamento alla nazione dei cittadini di quelle regioni? Lo Stato deve essere percepito come un valore, non come una gabbia. Per questo sono convinta che una risposta vada data. Per questo lo abbiamo scritto nel programma e tra i suoi primi atti il Governo ha approvato il disegno di legge quadro sull’autonomia per sbloccare l’iter e stabilire le “regole del gioco”. Saremo coerenti con il mandato ricevuto dagli italiani».

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