Schlein "riparte da Barbie": Pd disperato, cosa spunta alla Festa dell'Unità
Con tutto quel tripudio di fucsia, tra gli stand della sa lamella, del rognone trifolato annaffiato a Lambrusco e della pesca col tappo, bè, perfino l’armocromista di Elly Schlien, qui, rischierebbe lo choc anafilattico. Eppure c’è una strategia. Ci deve essere per forza una strategia in tutto questo. Ci sarà senz’altro un solco verso il futuro del Pd, vibrerà il segno di una palingenesi glitterata, nella notizia che la Festa dell’Unità di Reggio Emilia riparta dallo stand dedicato alla «compagna Barbie». Barbie intesa come bambola.
Regno di solido operaismo, epicentro di lotte sindacali di massa immerse nel rosso partigiano, l’Emilia del vecchio Pci si scopre, all’improvviso, rosa shocking, grazie a un’icona in silicone; e grazie, soprattutto ai Giovani Democratici reggiani. I quali, sulla scorta del successo del film-culto dell’estate –Barbie, appunto, di Greta Gerwig, sbancatore di box officele hanno dedicato un bar, il «Bar-B per riflettere sulla difficoltà delle donne nell’affrontare il mondo attuale». E hanno quindi deciso di far entrare dalla porta principale della politica pop la protagonista della pellicola, trasformatasi, in una sola estate, da nemica numero uno delle femministe anni 70 in caposaldo di un matriarcato 4.0.
OLTRE IL COLESTEROLO
Citano la regista Gerwin, quando afferma che «a volte questi film possono risentire dell’egemonia del capitalismo. Ed è come introdurre di nascosto l’umanità in qualcosa che tutti considerano un semplice pezzo di plastica...». E, di conseguenza, i giovani militanti del Pd sdoganano strategicamente il suddetto film sul versante delle pari opportunità. Barbie come Susan Sontag, o come Laura Boldrini. Il risultato è che la Festa dell’Unità attuale, con tutte quelle griglie su cui sfrigolano cuori e costine di maiale, passa, con l’avvento di Barbie, dalla lotta al colesterolo a quella dei diritti civili. Tra l’altro, se qualcuno andasse a sfruculiare l’algoritmo d’intelligenza artificiale che plastifica i politici e poi li riduce a pupazzetti della Mattel; be’, noterebbe subito che l’«Elly Schlein barbizzata» in profilo cherokee e capelli sciolti da medusa assomiglia molto più alla cantante Cher che alla Schlein originale. Se il visagista digitale funzionasse -oltre che con la segretaria- anche col partito, probabilmente al Nazareno avrebbero svoltato.
Oddio, in codesta svolta barbista della festa comunista per antonomasia, c’è anche di che discutere. Era solo il 1997 ma sembra trascorsa un’era geologica, da quando gliAqua cantavano un’impertinente «I’m a Barbie girl, in the Barbie world/Life in plastic, it’s fantastic- sono una ragazza Barbie in un mondo Barbie/la vita nella plastica è fantastica»; e allora, in Italia come nel mondo, frotte di donne parlamentari e militanti a sinistra scatenarono dibattiti contro l’idea stessa di un mondo glassato, fatto di borsette firmate, di caschi del parrucchiere, e di risacche oceaniche al botulino. Allora Barbie era una starlette borghese e destrissima con tanto di villona a Malibu e conto in banca da evasore totale alle British Virgin Island. Oggi, la nuova Barbie, che riesca a sedare il colpo di stato patriarcale nel suo mondo, o che conceda il perdono alla controparte maschile, si muta inesorabilmente in un inno progressista. È un po’ come se Big Jim, il contraltare Rambo di Barbie, si iscrivesse all’Arci gay e salisse su un carro del Pride vestito da Priscilla regina del deserto. Che poi è una cosa che, magari, ti aspetteresti da Ken.
Anche se gli stilemi narrativi, in fondo, in questa indigestione estiva di simboli e colori, be’, non cambiano più di tanto. Per carità, oggi, nella Barbie cinematografica restano i cocktail per ricchi a base di Moscow Mule; e gli outfit griffati; e i sospiri di petto; e i sorrisi satinati di Margot Robbie nei panni di Barbie. Pure se, nell’immaginario dei militanti, forse un po’ stona immaginarsi Gianni Cuperlo o Marco Furfaro nei panni del succube Ken, zazzerone biondo e ascot catarifrangente. E, comunque, una Barbie “politica” al servizio del popolo giù esisteva nella versione “Barbie in carriera” con tailleur e longuette blu, o “Barbie dottoressa” provvista di stetoscopio, o finanche “Barbie Nobel per la Fisica”. Certo, la presunta «rivoluzione inclusiva» in stile Mattel tra i terragni compagni della Festa dell’Unità, vanta un precedente nelle serate “drag queen e discoinferno” della Bologna della Schlien e Bonaccini. Eppure, a ben vedere , è una rivoluzione che non sembra raccogliere successi strepitosi. Rimane il dato impietoso degli 8mila iscritti al Pd di Bologna laddove due anni fa erano 23mila. Per dire. E rimane la frustante sensazione della cortina fumogena comunicativa dalla segreteria Schlein, ad ammantare un vero piano strategico di rilancio del Pd. Manca, come avverte la politologa tendenza dem Nadia Urbinati a In onda su La7 un filo che riesca «a cucire le proposte politiche del Pd».
LA LATITANZA
Magari è soltanto una nostra impressione. Ma nonostante il gran lavoro del suo spin doctor Flavio Alivernini –uno che ha studiato Pound e Pasolini- le apparizioni a singhiozzo e la nuova mitologia popolare di Elly Schlein rivelano più che una cocciuta militanza, una terribile latitanza. La latitanza dei contenuti. E anche, se vogliamo dirla tutta, la latitanza in Parlamento: unica tra i leader dell’opposizione a presenziare per un 20,94% (Fratoinanni è al 73%, Renzi al 72%, Calenda al 63%). Però Barbie che canta Bandiera Rossa gonfia di salamella allo strutto, be’, è uno spettacolo...