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Vittorio Sgarbi, ecco il pagellone dei ministri: chi prende 8 e chi 4

Salvatore Dama
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 Il caso lo apre e lo chiude lui, Vittorio Sgarbi. Che, parlando in uno dei tanti salotti estivi, a Viareggio, compila le pagelle dei ministri, bocciando quasi tutti. Giù Guido Crosetto, Giancarlo Giorgetti e Antonio Tajani. Su Gennaro Sangiuliano, Giorgia Meloni e Matteo Salvini. E poi dà il foglio di via ai direttori stranieri dei musei (“Siamo arrivati noi, se ne vanno loro”). Qualche ora e le parole del critico d’arte, prestato al governo con il ruolo di sottosegretario alla Cultura, iniziano a girare. Ma è qui che Sgarbi, senza aspettare che qualcuno si offenda e scoppi il solito polverone, interviene per spiegare. Si trattava solo di battute, un gioco. Succede questo. A Viareggio, in provincia di Lucca, fanno una manifestazione che si chiama «Gli incontri del Principe», al Grand Hotel Principe di Piemonte.

 

 

 

I GIUDIZI

Sul palco ci sono Sgarbi, appunto, che risponde alle domande di Stefano Zurlo. Parte il “gioco” delle pagelle. Primo candidato: Crosetto. Al ministro della Difesa, Vittorio inizialmente dà un «dieci». Poi ci ripensa e cala: «È un quattro». Sorte meno spietata tocca Sangiuliano, con il quale condivide il dicastero della Cultura. «È da dieci». Sicuro? «Otto». Poi arrivano i giudizi più cattivi. Zurlo gli chiede di Giorgetti. E Sgarbi fa finta di cadere dal pero: «Ma perché, c’è ancora Giorgetti?». Non pervenuto. Perché, spiega il sottosegretario, «è stato assorbito dalla Meloni, è stato melonizzato, è un po’ sommerso dall’attivismo del premier». Voto? «Sette».
Anzi no: «Cinque». E Tajani? «Non me lo ricordo, è ministro di cosa?». Altra acidata sgarbiana, che ironizza anche su Maria Elisabetta Alberto Casellati: «La presidente del Senato?». No, non lo è più, ora è il ministro delle Riforme: «Lavora con una grande discrezione, la riforma deve essere indolore. Quindi ottimo: dieci».

Voto a Elly Schlein? «Dieci». Davvero? «No, due». E Matteo Salvini? «Mi pare che sia bravo, se c'è da sistemare una strada o un ponte io lo chiamo». Giorgia Meloni? «Mi pare particolarmente brava, è stata tenace e determinata». Poi tocca ai direttori stranieri dei grandi musei: «Siamo arrivati noi e se ne vanno loro. Perché devo mettere un direttore straniero agli Uffizi? Si è mai visto uno straniero al Louvre? I simboli sono i simboli. È una stagione finita. Brera sicuramente quello che c'è non ci sarà più, a Firenze quello che c'è non ci sarà più, a Napoli quello che c'è non ci sarà più. Non lasceranno traccia». Boom. Ce n’è a sufficienza per riempire un paio di pagine dei giornali di agosto. Ma Sgarbi stavolta si disinnesca da solo. Non faceva sul serio, spiega, stava scherzando. E si lamenta: «È sempre più difficile parlare in Italia. Il tempo di Pasolini, di Flaiano e di Tito Balestra è finito» e il sottosegretario alla Cultura prende le distanze da se stesso.

 

 

 

ESPRESSIONI GIOCOSE

Si è trattato solo di «alcune mie espressioni giocose e, oso presumere, spiritose, stimolate da Stefano Zurlo». Ma il suo spirito non viene apprezzato, ammette: «Comincio a rendermi conto che non si può più scherzare e forse neppure parlare. Io», spiega via Facebook, dopo la sua intervista pubblica a Viareggio, «non ho dato pagelle a nessuno. Ho fatto battute: punto». È sempre più difficile parlare in Italia, ripete Sgarbi, «probabilmente dovrò rinunciare alle battute». Vittorio chiude anche l’altro caso: «Voglio ribadire tutta la mia considerazione per i direttori stranieri di alcuni grandi musei italiani, come gli Uffizi, Capodimonte, Brera. Ho sempre pensato e dichiarato che hanno fatto bene. Ma italiani o non italiani, dopo due mandati, per una legge voluta dall’ex ministro Franceschini, non possono essere riconfermati e non saranno più, quindi, direttori di quei musei. Ma tutti conoscono l’attività svolta con impegno da Eike Schmidt, con il quale ho più volte lavorato in grande sintonia. Lo stesso voglio dire per Sylvain Bellenger, direttore intelligente e fantasioso, che stimo e di cui sono amico, e con il quale ho collaborato in diverse mostre. Sono certo che sia Schmidt sia Bellenger faranno molte altre cose per i musei italiani e per l’Italia».

 

 

 

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