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Salario minimo, figuraccia Pd: ecco chi voleva coinvolgere...

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Michele Zaccardi
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Povera Elly Schlein: neanche il tempo di fare le valigie per la sua estate militante, che Giorgia Meloni cosa fa? La convoca, insieme a tutte le opposizioni, a Palazzo Chigi per discutere di salario minimo, tira fuori dal cilindro il Cnel e lo incarica di stilare entro due mesi una proposta che affronti il problema delle basse retribuzioni. Dev’essere stato un duro colpo per la segretaria del Partito democratico, a cui resta soltanto la trovata propagandistica della raccolta firme online lanciata domenica. «Volevano solo alleggerirsi la coscienza prima di andare in vacanza» ha dichiarato Schlein per nascondere lo smacco. Certo, la leader dem avrebbe voluto che la proposta presentata dalle opposizioni (eccetto Italia Viva), con una paga oraria fissata a 9 euro, fosse approvata subito. Una fretta che però stride con la storia recente.

 

 

 

POTERE E POLTRONE

Nell’ultimo decennio il Pd è stato infatti in maggioranza (e sempre con incarichi di governo) per tremila giorni, ma del salario minimo nemmeno l’ombra. Senza contare poi che dal settembre 2019 al febbraio 2021, durante il secondo esecutivo guidato da Giuseppe Conte, i dem si sono spartiti potere e poltrone con il Movimento Cinque Stelle. Avevano quindi tutto il tempo di approvare una legge per fissare una soglia alle retribuzioni, misura che rientrava, tra l’altro, nel programma di governo al punto 4.

Per di più Conte, alla vigilia delle elezioni europee del maggio 2019, all’epoca “avvocato del popolo” nell’esecutivo formato da Lega e Movimento Cinque Stelle, scrisse a Repubblica un’accorata lettera per sottolineare l’urgenza di «un salario minimo europeo». Curioso poi andare a ripescare una vecchia proposta di legge targata Pd e depositata nella commissione Lavoro del Senato l’11 marzo 2019, a prima firma Tommaso Nannicini. Il testo, che avrebbe dovuto fungere da base per l’introduzione di un salario minimo durante il Conte II, è infatti molto simile nei contenuti a quanto vuole fare il governo Meloni. Innanzitutto, non veniva fissata per legge una soglia degli stipendi, per evitare, come aveva spiegato lo stesso Nannicini, «una fuga dalle tutele» previste dai contratti collettivi, che stabiliscono stipendi più elevati. Al contrario, la proposta puntava a rendere vincolanti gli accordi siglati dalle associazioni più rappresentative. Per i soli settori scoperti, si prevedeva di introdurre un «salario minimo di garanzia», ma il cui importo, attenzione, doveva essere stabilito dal Cnel entro 18 mesi. Quello stesso Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro a cui la premier Meloni, con lo sdegno dell’opposizione («butta la palla in tribuna» ha detto Conte), ha deciso di demandare la stesura di una proposta. Non solo.

 

 

 

Nel documento a firma Nannicini, «il ridisegno delle regole su rappresentanza e contrattazione» era affidato a una «Commissione paritetica» istituita presso il Cnel. All’ente era riconosciuto così un ruolo centrale nella riscrittura della normativa, per il banale motivo che il Consiglio custodisce l’archivio con tutti i 957 contratti collettivi. Esattamente quello che intende fare il governo Meloni. I due mesi di tempo assegnati all’ente presieduto da Renato Brunetta coincidono con le tempistiche indicate dalla Camera, che a inizio agosto, ha rinviato di sessanta giorni l’esame della proposta delle opposizioni sul salario minimo, in tempo utile per inserire la misura già nella legge di bilancio.

Nel frattempo, al Cnel, da quanto si è appreso ieri, toccherà il compito di effettuare uno studio sui minimi stabiliti nei contratti collettivi, oltre a un approfondimento sulla retribuzione effettiva percepita (compresi tfr, ferie, mensilità aggiuntive), in modo da definire meglio il concetto di “lavoro povero”. Intanto, secondo Unimpresa, l’introduzione in Italia di una paga da 9 euro l’ora (che renderebbe «il livello retributivo italiano uno dei più elevati fra i Paesi membri» dell’Ue) avrebbe un impatto sulle aziende pari a 6,7 miliardi. «Tale aumento del costo del lavoro», si legge nello studio, avrebbe un effetto «negativo principalmente sulle piccole e medie imprese, riducendo drasticamente la competitività soprattutto nei mercati internazionali». Inutile dire che, in particolare nel Mezzogiorno, si avrebbe una «riduzione di manodopera oppure, in alternativa, ulteriore ricorso al sommerso».

 

 

 

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