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Salvini porta il Pd in tribunale: "Io mafioso? Denuncio"

Alessandro Gonzato
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Compagni che insistono. Compagni che delirano. Prima il Pd invocava i rubli, e i magistrati non ne hanno trovato uno, tanto che l’inchiesta-Metropol nonostante il cancan della sinistra è stata archiviata. Per anni i Dem hanno accusato Matteo Salvini e la Lega di aver intascato denaro russo in cambio di sostegno elettorale e altre furberie. Un buco nell’acqua. Ora il Pd agita addirittura lo spettro della mafia per attaccare il vicepremier leghista, e la strategia è chiara: è partito Roberto Saviano, il maître à penser di Spaccanapoli, e si è accodato l’ex ministro per il Sud, Giuseppe Provenzano, deputato e per due anni vicesegretario Dem. Peppe Provenzano, che delle due l’una: o non ha imparato a scrivere prima dei 9 anni, oppure - a proposito di Russia- non sa nemmeno quando si è dissolta l’Urss. Su La7 si parlava dei fantomatici rubli. Il senatore della Lega Armando Siri dice: «Voi volete sempre che vi si dia ragione, ma non l’avete. Perché è la storia che vi dà torto», allusione al vecchio Partito Comunista. Provenzano gli risponde spazientito: «Ma cosa sta dicendo? Ma quale storia, con chi sta parlando? Guardi che io quando è crollata l’Unione Sovietica non avevo ancora imparato a scrivere». Nel ’91, dicevamo, Provenzano aveva 9 anni.

 

 

 

VELENO

Adesso Peppe, sempre dagli studi de La7, se n’è uscito così: «Ci sono dei segnali preoccupanti che arrivano da Salvini sulla lotta alla mafia: l’attacco a don Ciotti, la riforma del Codice degli appalti... È lui il mandante politico del caso Saviano», la cui trasmissione “Insider” che doveva parlare di criminalità organizzata è stata cancellata dalla Rai perché Saviano è tornato a definire Salvini «ministro della Mala Vita», dopo che gli aveva già dato del «bastardo», identica qualifica attribuita a Giorgia Meloni. Gennaro Sangiuliano, ministro della Cultura, per Saviano era il «galoppino» di Nicola Cosentino, ex sottosegretario condannato per concorso esterno in associazione mafiosa.

Il nuovo attacco di Provenzano ha provocato la reazione di Salvini, sui social: «Dopo essermi preso del “ministro della Mala Via” da sinistra insistono con dichiarazioni deliranti: “Salvini mandante”, “da Salvini segnali molto preoccupanti sul fronte della lotta alla mafia”. Ma come si permette questo “signore”?! Vergogna. Querela subito, e poi vediamo se ci riprovano». Immediata la replica di Provenzano: «Se avesse, non dico il coraggio, ma il senso delle istituzioni di venire in parlamento a discutere di lotta alla mafia, le potrei elencare ad una ad una tutte le ragioni. Pronto a farlo anche in tribunale, comunque, ministro... E si ricordi che governa, non comanda». Don Luigi Ciotti aveva detto che il Ponte sullo Stretto, la cui realizzazione è un obiettivo di Salvini, «non unirà solo due coste, ma certamente due cosche». Una frase che il ministro leghista aveva definito di «cattivo gusto», «vergogna!», aveva commentato, consigliando poi di «espatriare» a chi dipinge l’Italia «come mafia, pizza e mandolino».

 

 

 

Don Ciotti, fondatore dell’associazione Libera, ha quindi provato ad aggiustare il tiro: «Il mio intervento era una riflessione più ampia. Volevo dire che sarebbe bene che gli investimenti ci fossero per far ritornare migliaia di giovani nella loro terra, per combattere la povertà, l’abbandono scolastico. La mia frase? era mettere al centro le priorità, non dire se è opportuno o meno fare il Ponte». Provenzano invece incalza Salvini sul Codice degli Appalti, sulla presunta illegalità, sul losco, fin dalla fine dell’anno scorso: «Subappalti senza limiti, affidamenti senza gara, indebolimento dell’anticorruzione. Il Codice Salvini non è semplificazione. È un colpo di spugna su sicurezza, qualità del lavoro e legalità. Fare presto sì», ancora Provenzano, «ma fare bene. Impedire che mafie e malaffare mettano le mani sui soldi pubblici». E i rubli? 

 

 

 

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