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Pd, i sindaci spennano i cittadini: caro-biglietti, schiaffo ai poveri

Claudia Osmetti
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Ah, la mobilità alternativa. I bus, le metro, i tram, i pullman, i mezzi di superficie e quelli interrati: il fatto è che ci costa sempre di più, questa benedetta mobilità alternativa. Della serie, c’è una parte politica (che è sempre la stessa e non è neanche il caso di star qui a raccontarci qual è) che da qualche anno a questa parte rincara il ritornello ogni due settimane: guerra alle auto e viva il trasporto pubblico. Epperò, poi, c’è anche una parte politica (che a scanso di equivoci è ancora quella) che vuoi per necessità, vuoi per l’inflazione, vuoi perla crisi energetica o per gli “adeguamenti contrattuali” che pendono lì, modello mannaia, di sforbiciare sui biglietti e sugli abbonamenti nisba. Manco ci pensa. Anzi, appena si apre uno spiraglio rialza il costo dei ticket e tanti saluti, così l’alternativa diventa un “lusso” e tirare fuori l’auto dal garage un terno al lotto.

 

Gli ultimi biglietti rincarati sono quelli di Torino (amministrazione di centrosinistra) che, in questi giorni, ha approvato una delibera, non senza un duro scontro in consiglio comunale, che ha alzato il prezzo dei tagliandi di trasporto a due euro tondi tondi (prima erano 1,70) e quelli giornalieri a 3,70 euro (contro i tre degli attuali). Non solo, sotto la Mole sono cresciuti (di venti centesimi all’ora) anche gli esborsi per i parcheggi sulle strisce blu: perché il salasso quando tocca tocca a tutti e, magra consolazione, le nuove tariffe partiranno ad ottobre, quindi c’è ancora una manciata di mesi per risparmiare qualche spiccio.

 


DIVISI IN CASA Altro giro altra corsa (sul tram): questa volta a Firenze e con tanto di polemica tutta interna ai dem perché se il “rincaro” (lui lo chiama «attuazione di quanti previsto nel contratto con Autolinee Toscana per l’adeguamento Istat») il governatore del Pd Eugenio Giani tira dritto (in Toscana i ticket di pullman e tranvia passeranno da 1,50 euro a 1,70); l’assessore fiorentino Andrea Giorgio (pure lui del Pd) sbotta che si tratta di «rincari inaccettabili» e di «un servizio che è molto inferiore in città, e negli ultimi mesi è stato rimodulato con una riduzione, malgrado la nostra riduzione».
Poi c’è Roma, la Roma di Roberto Gualtieri che al Nazareno è di casa due volte (politicamente e geograficamente) che a fine giugno ventilava un possibile rialzo nel contratto di servizio sul trasporto pubblico per i prezzi dei biglietti dell’Atac (l’azienda di trasporto capitolina) e di Metrebus a partire da agosto. Anche qui, anche sul Tevere, come sul Po, l’ipotesi è di raggiungere quota due. Nel senso di due euro. Anche se, sotto il Colosseo, al Testaccio o a Campo dei Fiori, è cosa nota, la rete di bus non è proprio il primo fiore all’occhiello del Campidoglio: ma tant’è la paura è quella. Paura rientrata (è necessario sottolinearlo) a inizio luglio quando l’assessore regionale ai Trasporti, Fabrizio Ghera, di Fratelli d’Italia, ha assicurato che «col presidente Rocca abbiamo pensato che non sia giusto intervenire senza aver ragionato e valutato soluzioni diverse, pertanto l’aumento è scongiurato». Amen e così sia.

 


ROCCAFORTE A Brescia, invece, altra città roccaforte del centrosinistra, bisognerà aspettare il 31 luglio (la settimana prossima) per lo scatto dell’adeguamento (in sù) dei prezzi dei bus che potrebbe toccare il +14,55% solo nel centro storico: l’ultima parola non è ancora detta, spetta all’assemblea dei soci dell’azienda di traporto pubblico che si riunirà lunedì. Nella Milano del sindaco Beppe Sala, per finire la carrellata laddove, in realtà, era iniziata a gennaio di quest’anno, il biglietto dei mezzi è già stato rincarato fino a 2,20 euro. E per fortuna che va incentivata la mobilità alternativa.

 

 

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