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Sinistra allo sbando, l'ultima trappola assistenzialista: cosa vogliono farci pagare

Michele Zaccardi
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Morta una mancetta, se ne fa un’altra. Dopo che il governo ha ridimensionato il Reddito di cittadinanza, con grande scorno dei Cinque Stelle, la sinistra si è subito arrabattata per ideare una misura che, assicurano, ci porterà verso il sole dell’avvenire: il salario minimo. La proposta per introdurlo è stata depositata in commissione Lavoro alla Camera da tutta l’opposizione (tranne Italia Viva) e prevede una retribuzione (in vigore da novembre 2024) di 9 euro lordi all’ora. Siccome però molte imprese non potrebbero permetterselo, ecco che nel testo spunta un articolo, il numero 7, dal titolo asettico: "Benefìci in favore dei datori di lavoro per l’adeguamento del trattamento economico minimo orario". Tradotto: i soldi per pagare di più i dipendenti li metterà lo Stato.

«La legge di bilancio per il 2024» recita l’articolo, «definisce un beneficio in favore dei datori di lavoro, per un periodo di tempo definito e in misura progressivamente decrescente, proporzionale agli incrementi retributivi corrisposti ai prestatori di lavoro al fine di adeguare il trattamento economico minimo orario all’importo di 9 euro».

 

 

LE STIME - Così, per non mandare in perdita migliaia di imprese e per evitare un’esplosione del lavoro nero, la sinistra ha pensato bene di far intervenire lo Stato. Paga Pantalone, insomma. Ma quanto costerà colmare la differenza tra i 9 euro fissati per legge ei salari effettivamente pagati? Di stime ne circolano parecchie, ma nessuna, vista la complessità della materia, riesce a catturare in modo preciso l’esborso. Anche perché il sussidio coprirà, almeno stando alla lettera della proposta, soltanto una parte dell’aumento delle buste paga. Un primo calcolo lo ha fatto l’Istat. Nell’audizione depositata in commissione Lavoro, l’istituto di statistica sostiene che, in Italia, ci sono tre milioni di lavoratori con un salario orario lordo (comprensivo di tredicesima e quattordicesima, più le ferie e i festivi) inferiore ai 9 euro. I rapporti di lavoro sotto la soglia sono invece 3,6 milioni (alcuni lavoratori hanno più di un contratto): per allinearli al minimo ci vogliono oltre 2,8 miliardi di euro, con un beneficio a testa di circa 804 euro all’anno.

Le stime dell’Istat, però, potrebbero peccare di ottimismo. Il motivo è che l’Istituto di statistica fa i conti sulla base del “Trattamento economico complessivo”, che comprende appunto una serie di voci accessorie come le mensilità aggiuntive, ed è quindi più pesante, mentre la proposta di legge fa riferimento al “Trattamento economico minimo”.

 

 

Il che significa che i lavoratori sotto la soglia oraria sono molti di più. Quanti però? Secondo uno studio dell’Inps del 2021, i dipendenti che guadagnano meno di 9 euro (escluse tredicesime e Tfr) sono 4 milioni e 578mila. Adeguare i loro stipendi al nuovo minimo costerebbe quasi 8,4 miliardi di euro, una cifra superiore a quanto speso per il Reddito di cittadinanza nel 2022 (7,99 miliardi). Intanto, venerdì, un po’ a sorpresa, è arrivata l’apertura di Giorgia Meloni. Secondo Repubblica, la premier avrebbe dato la sua disponibilità a confrontarsi sul salario minimo. Non si tratta certo di un consenso alla proposta di legge presentata dalle opposizioni quanto, piuttosto, di un primo passo per avviare un dialogo, per valutare la fattibilità, nei tempi e soprattutto nei modi, dell’introduzione di una soglia alle retribuzioni.

LAVORO POVERO - E così, mentre si attende l’esito del voto, previsto per martedì, sull’emendamento soppressivo presentato una settimana fa dal centrodestra, con la discussione in Aula fissata per il 28, il governo sta studiando come intervenire sul tema del lavoro povero. «Nessuno vuole mantenere bassi i salari, anzi se c’è qualcuno che li ha alzati fino ad oggi è proprio il centrodestra attraverso il taglio da sette punti del cuneo, a beneficio dei lavoratori meno abbienti» spiega a Libero il sottosegretario al Lavoro in quota Lega, Claudio Durigon. «Va trovata una soluzione omogenea a tutto il sistema, valorizzando la contrattazione collettiva» prosegue. «Non crediamo che il salario minimo tout court possa essere uno strumento adeguato perché genera una serie di problematiche. Del resto, la direttiva Ue obbliga a introdurlo solo quei Paesi dove la copertura offerta dalla contrattazione collettiva è inferiore all’80%, mentre in Italia siamo oltre il 90%». Quale potrebbe essere il punto di caduta? «Dove non c’è la contrattazione, si può valutare l’introduzione di un salario di ingresso, ma negli altri casi vanno favoriti quei contratti che prevedono salari di ingresso più alti. Infine, nei casi in cui si verifica dumping contrattuale, occorre intervenire con norme specifiche».

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