Mario Draghi, rumors: "Perfetto per quel ruolo..."
Chi lo conosce e lo frequenta, dice che Mario Draghi non fa nulla, o quasi nulla, per caso. Ogni scelta è calcolata, ha una sua scenografia, ha una sua tempistica, ha una sua proiezione. In questa ottica vengono letti dagli osservatori i discorsi pubblici dell'ex presidente del Consiglio nei luohi del sapere americano - quello al Mit di Boston, a inizio giugno: e quello una settimana fa, alla Martin Feldstein Lecture al National Bureau of Economic Reaserach, a Cambridge. Spiega Ilario Lombardo su La Stampa che in questi discorsi, fatti in luoghi dove si sente libero di sperimentare un orizzonte di pensiero un po' più lungo rispetto alla mischia della politica italiana, si gira attorno soprattutto a un tema: il futuro dell'Europa.
Soprattutto quello di Cambridge, fa notare Lombardo, è apparso a tanti un discorso programmatico. Il dettaglio che insaporisce questa considerazione è un passaggio, al termine del discorso. Draghi prende una sola domanda dal pubblico, quella di Jason Furman, ex capo dei consiglieri economici di Barack Obama alla Casa Bianca. Gli chiede della riforma del Patto di Stabilità, dei dubbi, eterni, della Germania sull'Italia, sulla sua incapacità di compiere le riforme, di spendere i fondi europei, di ridurre il debito. Draghi alza lo sguardo su tutta l'Unione, in due minuti sintetizza la sua personale idea di Stati Uniti d'Europa che ha tratteggiato per oltre quaranta minuti di intervento.
Una delle fonti de La Stampa la definisce "quasi un'autocandidatura". Come se parlasse da presidente del Consiglio europeo. Perché, poi, alla fine, la domanda resta sempre la stessa: cosa farà Mario Draghi? Di certo non si autocandiderà a nulla, il che non vuol dire che non è candidato a qualcosa. A quasi 76 anni, l'ex premier continua infatti a dire che un lavoro è capace di trovarselo da solo e che non è interessato alle nomine per i massimi vertici europei, Consiglio e Commissione. Anche perché l'ex presidente della Bce non è un ingenuo, sa che si tratta di nomine politiche, che si reggono su particolari equilibri e che la sua è una figura ingombrante come quella dell'ex cancelliera Angela Merkel. Ma sa anche che il presidente francese Emmanuel Macron lo adora e potrebbe spendere il suo nome.
Un'alleanza, quella tra Macron e Draghi, che si rafforza mentre si raffreddano i rapporti con Giorgia Meloni. Se infatti c'è stato un momento in cui si parlava della special relationship tra la premier e il suo predecessore, la frattura con il governo si è cominciata a vedere quando la paura del fallimento e le pressioni pubbliche hanno spinto i ministri di Fratelli d'Italia e poi anche Meloni a puntare il dito, ripetutamente, contro l'impianto e la governance del piano immaginati dall'ex premier Giuseppe Conte, poi rivisti da Draghi. Rivelano i ben informati, che l'ex presidente della Bce proverebbe un sentimento di indignazione per come la destra sta trattando i soldi e i progetti del Next Generation Eu con interi capitoli cancellati o modificati, sulle donne, sul Sud, sulla riforma della concorrenza come elemento fondante. E a Cambridge, a conclusione del discorso americano di cinque giorni fa, per la prima volta si intravede, malcelato, un giudizio negativo su chi ora ha il potere di salvare o di affossare il Piano. L'Italia "deve dimostrare di poter spendere le risorse del Pnrr secondo i tempi, con efficienza e con integrità", ha detto Draghi lasciandosi andare a una pubblica annotazione critica. Ogni parola è calcolata.