Cerca
Cerca
+

Fazzolari: "Elly Schlein? Perché ci conviene"

 Fazzolari e Meloni

Antonio Rapisarda
  • a
  • a
  • a

Nella sua autobiografia, Giorgia Meloni lo ha descritto come «la persona più intelligente e giusta» che abbia avuto «la fortuna» di conoscere. In questa lunga intervista, rilasciata al “Festival della politica” curato da Marco Antonellis, fra le tante cose che Libero ha chiesto a Giovanbattista Fazzolari – sottosegretario con delega all’Attuazione del programma di governo – vi è quella di indicare cosa ha rappresentato per lui l’incontro con la leader di cui è spalla insostituibile fin dai tempi di Azione Giovani. «Posso dire che non avrei mai immaginato di svolgere un qualunque ruolo di governo se non per Meloni premier». Ciò significa – per uno che condivide con «Giorgia» ogni dossier e posizionamento – una mole di lavoro fuori dall’ordinario. Ma non è questo a pesargli. Quanto piuttosto l’attenzione dei riflettori: «Una visibilità che non gradisco». Se accetta pure questo è soltanto per un motivo: «Perché solo con lei, e lo sta dimostrando, l’Italia può tornare la grande Nazione ricca e prospera che è sempre stata».

Sottosegretario, lei è il “custode” del programma. Dopo nove mesi di governo a che punto siamo?
«Fra mille difficoltà, siamo già riusciti a dare un’impronta. Riconosciuta dagli italiani. Era stato raccontato che questa compagine avrebbe portato disastri economici e instabilità sui mercati. E invece la sensazione che tutti hanno è di grande solidità. Un segnale ben recepito anche a livello internazionale: da chi deve poi scommettere o meno sull’Italia».

E i prossimi nove mesi?
«Non mi appassionano le scadenze perentorie solo per “dimostrare” di saper realizzare. A noi quello che serve prima di tutto è: normalità. Perché viviamo, dai tempi della fine della Prima Repubblica, una continua transizione. Vogliamo mettere fine a questa infinita fase e tornare a ragionare con una visione di lungo periodo».

Domani sarà l’anniversario della strage via D’Amelio. Le opposizioni si stanno aggrappando alla polemica nata dalle parole di Carlo Nordio sul concorso esterno per mafia per mettere in dubbio addirittura la vostra adesione ai valori di Paolo Borsellino...
«Noi non prendiamo lezioni di lotta alla mafia da nessuno. Non esiste una forza politica che ha contrastato la mafia con la stessa determinazione con cui da sempre lo fa la destra e FdI da quando esiste. Trovo veramente sconveniente tirare in ballo, per beghe politiche, il contrasto alla mafia: questo non aiuta né lo Stato né la lotta alla mafia. Con questo governo sono stati arrestati diversi boss ricercati da anni. È merito nostro? È complicato da stabilire.
Non è il governo che arresta i mafiosi. Però mettiamola così: i servitori dello Stato sanno che hanno il governo dalla loro parte. E non è sempre stato così».

 



 

La premier ha assicurato che non ha alcuna intenzione di partecipare alla “guerra dei trent’anni” fra politica e magistratura. È possibile riformare la giustizia mettendo d’accordo tutti?
«Lo dicevo prima: l’Italia deve tornare un Paese normale. In un Paese normale, le leggi vengono realizzate dai rappresentanti eletti dal popolo. E poi la magistratura le applica. Ciò che si reputa normale oggi, invece, è un’anomalia: ossia che la magistratura possa entrare nella fase di formazione delle leggi odi riforma della giustizia. Ecco, non credo che gran parte della magistratura condivida tale impostazione. Anche alla luce di ciò ascolteremo tutti ma abbiamo il dovere di mettere ordine in un sistema che, come dimostra la bassa fiducia dei cittadini nella magistratura, troppo a lungo ha deluso. È necessario dare tempi certi ai procedimenti, garanzia di un giudizio imparziale ed equilibrio tra l’accusa e la difesa. Sono tutte questioni che vogliamo affrontare con misura e buonsenso ma ci siamo presentati alle elezioni con questo programma: andremo avanti».

Vi siete posti l’obiettivo di riformare la giustizia, il fisco, l’architettura istituzionale. La reazione? Violente polemiche da sinistra ma anche la contro-offensiva dei sostenitori di un certo status quo. Troppi fronti tutti insieme?
«Da decenni, quando un interlocutore – che può essere un grande soggetto economico o bancario – si relaziona col governo sa che, con ogni probabilità, chi ha davanti tra un anno e mezzo non ci sarà più. Non ha alcun interesse, dunque, né utilità a relazionarsi davvero con lui: deve solo aspettare che ne arrivi un altro, portando avanti, nel frattempo, le proprie convenienze.
Quando si ha a che fare con un governo stabile come quello Meloni, ci si relaziona invece con un esecutivo che chiede prima di tutto qual è l’interesse generale rispetto a ciò che gli viene proposto. Questo è il nodo delle riforme istituzionali: è chiaro infatti che una riforma con l’elezione diretta del premier, che prevede governi saldi, che durano cinque anni, conviene ai cittadini ma non a certi grandi attori – economici e non – presenti in Italia».

Capitolo lavoro. Avete abolito il reddito di cittadinanza. Vi opponete al salario minimo. C’è chi si chiede: ma non eravate la destra sociale?
«Messa così è fuorviante. In realtà abbiamo distinto chi può lavorare da chi non può. Non perderanno nulla le famiglie che hanno invalidi, over 60 che hanno perso il lavoro, i pensionati al minimo, i nuclei in difficoltà con figli minori. Discorso diverso per chi ha tra i 18 e i 59 anni e può lavorare. Questi soggetti non avranno più diritto al reddito di cittadinanza ma saranno messi nelle condizioni di migliorarsi con un percorso formativo che li aiuterà nell’inserimento lavorativo e durante il quale potranno anche ricevere un rimborso spese. Per ciò che riguarda il salario minimo: chiunque abbia a cuore i lavoratori sa che questo è un grande inganno. Riguarderebbe – secondo chi lo vuole – quella piccola fetta di lavoratori non coperti dalla contrattazione collettiva. Qual è il problema? La stragrande maggioranza dei lavoratori dipendenti coperti dalla contrattazione ha un salario più alto dei 9 euro l’ora ipotizzati. Se stabilisci un salario minimo per legge questo diventa il parametro di riferimento e da domani un datore di lavoro invece che applicare i contratti potrebbe dire: pago in base al salario minimo, come dice la legge. Rischiano di perderci, così, gran parte dei lavoratori dipendenti».

Come si combatte allora il lavoro povero?
«Estendendo la contrattazione collettiva e intervenendo poi sulle sacche più palesi di irregolarità. Me ne viene in mente una: il mondo delle cooperative. Quanto è credibile che lavoratori che si autogestiscono si auto-schiavizzino? Ecco, partiamo da una cosa di buonsenso: applichiamo il salario minimo, intanto, a tutto il mondo delle cooperative. Sarebbe già un’ottima cosa».

 



 

In tutto ciò l’opposizione di Elly Schlein l’avete vista arrivare?
«Un Pd così spostato a sinistra non potrà mai essere un partito maggioritario con chance di governo. In questa fase storica, egoisticamente parlando, direi che questa guida Pd a noi conviene. Quindi: lunga vita a questo Pd, alla Schlein e a questa sinistra. Come sistema-Paese, però, avere una sinistra così conviene un po’ di meno...». 

Veniamo agli alleati. Non stavate al governo della Nazione, insieme, da tanto. Questi mesi hanno rinsaldato l’alleanza o si intravede qualche crepa?
«C’è grande compattezza nel governo e tra i partiti di maggioranza. Del resto, non avrebbe alcun senso, in una prospettiva di cinque anni, cominciare a ragionare secondo logiche di bandiera. E infatti nessuno intende frapporre ostacoli. Registro ottimi rapporti con molti esponenti della Lega e di Forza Italia: da Giorgetti a Tajani.
Persone che provengono da una lunga esperienza militante. Tutti pienamente consapevoli che perdere questa occasione sarebbe anche una sconfitta personale oltre che politica».

E arriviamo al Pnrr. Ha ragione chi lamenta ritardi o siamo sul podio insieme alla Spagna?
«L’Italia a oggi è la nazione più virtuosa nello stato di avanzamento del Pnrr, seconda solamente alla Spagna, che però ha un piano decisamente più ridotto.
Non siamo, dunque, in ritardo. Certo, ci sono dei problemi ereditati che stiamo cercando di risolvere. Viviamo una situazione bizzarra: la Commissione Ue ha accolto il Pnrr con grande disponibilità, salvo adesso contestarci cose relative a quanto già approvato. Lo stadio di Firenze, ad esempio: non mi sembra una gran trovata indebitarci per pagarlo con soldi pubblici. Stesso discorso per il bosco dello sport di Venezia. Progetti presentati nel Piano, approvati dalla Commissione che adesso ci dice che forse non erano un’idea geniale».

Era meglio se lo dicevano prima...
«Esatto. Comunque, per ciò che riguarda la terza rata è praticamente tutto concluso e le criticità emerse non possono essere addebitate a noi che siamo arrivati solo a novembre. Partiamo dall’assunto che senza l’ottimo lavoro che sta facendo Raffaele Fitto l’Italia sarebbe veramente in grossi guai con il Pnrr. Per fortuna il ministro sta facendo lavorando molto bene, relazionandosi in modo puntuale e proficuo con la Commissione. Certo, se avessimo un Commissario italiano più attento alle esigenze nazionali...».

Cosa rimprovera a Paolo Gentiloni?
«Più che un rimprovero, rilevo un’anomalia: quella di un Commissario che si sente ogni volta in dovere di fare il controcanto al governo italiano, con dichiarazioni che mettono in difficoltà la Nazione e che credo comincino a sorprendere anche molti a Bruxelles».

Ultima stazione: elezioni Europee. Il cantiere dell’alleanza con i Popolari è aperto. Il tema adesso, però, è rispondere a un’obiezione: quella di chi sostiene che un’Europa a trazione sovranista significherebbe la fine dell’Unione. È così?
«Quando è sorto il processo di integrazione europea, il modello che noi oggi definiamo sovranista – all’epoca era confederale, patriottico – aveva piena legittimità.
Mi sembra che De Gaulle fosse un europeista e, al tempo stesso, pienamente a difesa della sovranità e dell’indipendenza della Francia.
Esistono dunque visioni diverse. Una è quella federale: superare le sovranità nazionali per creare un Super-Stato europeo; l’altra è quella confederale, e cioè identità nazionali ben definite e molto forti che collaborano sui grandi temi. Questo è il modello dei Conservatori, storicamente condiviso da FdI. Non a caso Giorgia Meloni è la leader dei Conservatori europei. Sono convinto che la morte del processo di integrazione europea avverrà proprio quando l’Ue non sarà più in grado di dare risposte alle grandi sfide della nostra epoca: dalla difesa dei confini esterni alla tutela della salute degli europei. Lo stesso vale in termini di sicurezza: lo abbiamo visto con il conflitto in Ucraina, dove altri soggetti si sono mossi prima che l’Ue decidesse di avere una visione unica».

Nel caso non dovessero esserci i numeri per comporre una maggioranza di destra-centro a Bruxelles, prendereste in considerazione una nuova “maggioranza Ursula” con dentro i socialisti?
«Fratelli d’Italia né in Italia né in Europa andrà mai al governo con i socialisti. Non è un’antipatia personale: reputiamo che visioni così diverse sui grandi temi siano incompatibili. Perché, alla fine, si creano delle maggioranze incapaci di prendere qualsiasi decisione: grande e piccola che sia. Noi puntiamo ad ottenere ottimi risultati alle prossime Europee, attraverso il nostro programma e – senza dubbio – con un’alternativa concreta e di visione quale sarà quella che vedrà insieme Conservatori e Popolari e chiunque aderisca ai valori di cui queste forze sono portatrici».

Dai blog