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Caso La Russa, ora l'inchiesta è contro Ignazio

Tommaso Montesano
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«Termini ogni speculazione politica della vicenda». Verrebbe da dire: le ultime parole famose dello staff del senatore Ignazio La Russa. Perché a due giorni dalla nota con la quale i collaboratori del presidente del Senato denunciavano la faziosità dei media sulla vicenda che coinvolge Leonardo Apache - il terzogenito della seconda carica dello Stato - ecco che ieri il Fatto Quotidiano, in prima pagina, intimava: «Ignazio, caccia la sim». Un riferimento al sequestro, da parte dei pm della procura di Milano che indagano sulla presunta violenza sessuale commessa dal ragazzo nella notta tra il 18 e il 19 maggio scorsi, del solo telefono e non già della scheda. Il motivo è semplice: la sim è intestata allo studio legale di cui è socio il padre, Ignazio, e pertanto rientra nelle sue pertinenze parlamentari. A tutela delle quali, a norma dell’articolo 68 della Costituzione, ogni accesso e utilizzo deve essere autorizzato dalla camera di appartenenza, in questo caso il Senato, inoltrando richiesta alla competente Giunta di Palazzo Madama.

 

 

IL VINCOLO DELLA CARTA - La copertina del Fatto suggerisce due considerazioni. La prima: il tiro si è spostato dal figlio al padre («Ignazio, caccia la sim»). E la vicenda, dalla cronaca, si è ormai trasferita nel campo della politica. Seconda annotazione: la procura, informa il quotidiano diretto da Marco Travaglio, potrebbe chiedere alla Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari l’autorizzazione a chiedere il sequestro, oltre che del telefono (ottenuto venerdì dalle mani di Leonardo Apache), anche della sim. Ed eventualmente pure delle conversazioni - ad esempio le chat conservate dallo smartphone - nelle quali comparisse il padre. Insomma, dagli uffici di procura e questura il caso sta per sbarcare in Parlamento, dove i 19 senatori della Giunta, guidata dal dem Dario Franceschini, potrebbero nato e, nella scorsa legislatura, presidente della Giunta, sarebbe un’ipotesi comunque preferibile rispetto al rischio di violare la corrispondenza del presidente del Senato. «La procura si deve preoccupare di non andare contro la Costituzione: si deve muovere nel solco delle leggi. E quindi valutare se chiedere l’autorizzazione o meno», avvisa il numero due di Palazzo Madama. Insomma: adesso che gli inquirenti hanno a disposizione il telefono di Leonardo Apache, si muovano «con circospezione».

 

 

«Se la procura dovesse imbattersi, faccio un esempio, in uno scambio tra il presidente del Senato e il presidente della Repubblica? Bisogna tenere conto delle regole: o la Costituzione vale tutta o non vale nulla», insiste Gasparri. Detto in altre parole: le toghe passino subito la palla alla Giunta, con una «richiesta motivata. La disponibilità della famiglia La Russa nella consegna del telefono non fa venire meno le garanzie poste a tutela del Senato e non può costituire un precedente».

CENTO TESTIMONI - Una strada che effettivamente i magistrati, a quanto riferisce Il Fatto, hanno in animo di compiere. Soprattutto perché - e questa è un’altra indiscrezione che filta dal palazzo di giustizia milanese- dalle parti dei pm c’è «pessimismo» rispetto alla possibilità di «trovare nel cellulare di La Russa jr la prova dell’abuso». E poiché le immagini di eventuali telecamere non ci sono e l’indagine, almeno al momento, si basa esclusivamente sull’ascolto dei testimoni (alla fine potrebbero essere un centinaio quelli da sentire, praticamente tutti i partecipanti alla serata in discoteca), ecco che la procura si aggrappa alla sim. 

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