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Pd, la proposta per contrastare il picco di sbarchi: migranti in hotel

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Tommaso Montesano
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Tornare indietro. Alla ricetta dell’«accoglienza diffusa» targata Luciana Lamorgese. Non solo con «la distribuzione» di migranti «in maniera estesa sul territorio» nazionale, ma anche con i relativi servizi. Senza alcuna distinzione, a livello di prestazioni, tra chi chiede la protezione internazionale e chi, invece, l’ha già ottenuta. Basta con i «maxi hub dove infilare come bestiame centinaia, se non migliaia», di profughi, «senza alcun tipo di servizio e isolati dal contesto».

Di fronte alla comparsa di alcune tende fuori dai centri di accoglienza - le ultime sono spuntate in Toscana in provincia di Firenze, ma si sono viste anche a Bologna - e all’aumento degli sbarchi, il Pd prova a rilanciare il “suo” vecchio modello: l’ospitalità diffusa, capillare, con «gruppi ben inseriti e integrati», grazie al ripristino, per tutti, dei servizi “materiali”, sanitari, di assistenza sociale e di mediazione lingiustico-culturale. Con il rientro in pista di cooperative e associazioni e, magari, ricorrendo agli hotel, con relativa impennata dei costi di gestione.

 

 


A rilanciare il sistema «smantellato» da Matteo Salvini, per il Pd, è la deputata Rachele Scarpa, che approfittando delle due tende del ministero dell’Interno apparse nei dintorni del Comune di Pelago, in Toscana, e del rischio che questo accada anche in Veneto, è tornata alla carica con l’«accoglienza diffusa». Scarpa è veneta, Regione dove si sta consumando uno scontro, tutto interno alla Lega, tra il governatore Luca Zaia e il segretario regionale del Carroccio, Alberto Stefani. Zaia un paio di mesi fa ha siglato un «documento di principio» con il sindaco di Treviso e presidente regionale dell’Anci, Mario Conte, per chiedere di «investire il più possibile sull’ospitalità diffusa». Ipotesi che vede contrario (eufemismo) Stefani: «No all’accoglienza indiscriminata nei Comuni».

Il fatto è che a fronte dell’aumento dei numeri degli sbarchi, i centri per l’immigrazione sono in sofferenza (basti pensare a Lampedusa, dove solo nelle ultime 24 ore sono arrivati oltre 600 migranti, con l’hotspot che a fronte di 400 posti disponibili deve fare i conti con oltre 2mila presenza) e il Pd punta a fare macchina indietro. Per tornare, di sponda con i sindaci, al caro «sistema di accoglienza diffusa».

 

 

Un’avvisaglia c’era stata qualche giorno fa, quando Debora Serracchiani, la responsabile Giustizia del Pd, aveva esplicitato il pensiero dem: «L’accoglienza diffusa non è un feticcio né uno spauracchio, ma uno strumento per tempi difficili». E ancora: «O ci si occupa del problema, oppure l’accoglienza diffusa l’avremo lo stesso, solo fuori controllo e nelle nostre strade». Del resto si tratta, né più né meno, di portare avanti le parole d’ordine della segretaria, Elly Schlein, secondo cui «distruggere l’accoglienza diffusa è inumano». L’opposto della rotta tracciata dal ministero dell’Interno, che punta sulle strutture governative come i Centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara); i Centri di accoglienza straordinaria (Cas), gli hotspot (in primis in Sicilia) e, soprattutto, sulla realizzazione di almeno un Centro di permanenza e rimpatrio (Cpr) in ogni Regione dove ospitare innanzitutto i migranti “problematici”. Senza trascurare, naturalmente, il fronte diplomatico, con la nuova missione della premier Giorgia Meloni in Tunisia per bloccare le partenze. Dall’inizio dell’anno, secondo gli ultimi dati diffusi dal Viminale, sono sbarcati sulle coste italiane 75.065 migranti, a fronte dei 31.920 arrivati nello stesso periodo dello scorso anno. Detto di Lampedusa, ieri 199 migranti sono sbarcati ad Ancona dalla Humanity1. A Trapani, invece, sono in arrivo 52 persone soccorse dalla nave Aurora della Sea Watch. 

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