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Giorgia Meloni, la menzogna del premier sconfitto in Europa
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In Europa c’è una vasta maggioranza, che prende il nome di Ursula, che vede uniti socialisti, liberali, popolari, grillini e quant’altri. Ormai tutti sanno che l’obiettivo di Giorgia Meloni e del capo dei popolari tedeschi, Manfred Weber, è - dopo il voto del prossimo anno -, sostituire questa coalizione a trazione rosso-verde con un’alleanza tra popolari e conservatori, aperta anche ai liberali e a chi altro può servire per ottenere i numeri necessari. La Lega vorrebbe estenderla alla Le Pen, Forza Italia non ci sta e c’è addirittura chi pensa che sarebbe possibile spaccare i socialisti e portarne un pezzo con il centrodestra. Sono tutte ipotesi finora, i giochi si faranno quando le forze si saranno misurate nelle urne e i numeri saranno chiari.
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Questo possibile cambio di mano sarebbe però talmente epocale che il suo solo paventarsi già oggi agita l’Europarlamento, e in particolare le forze della sinistra, che si troverebbero alla finestra, messe democraticamente in panchina. A Bruxelles la tensione è alta e nei singoli Stati è già cominciata la campagna elettorale. Non si spiega altrimenti la strabica lettura che i media progressisti hanno dato di quanto avvenuto l’altro ieri in aula. La maggioranza proponeva un programma di transizione ecologica che l’olandese Timmermans, leader dei socialisti e di fatto candidato della sinistra alla presidenza della Commissione, aveva già dovuto rivedere al ribasso per farlo passare. Fatto sta che sulla carta il piano poteva contare su oltre 450 voti e sarebbe dovuto passare in carrozza. Invece è stato approvato per un pelo, con 324 sì, 312 no e 12 astenuti.
Non solo, dei 178 europarlamentari di cui il Ppe dispone, solo quindici hanno votato con la maggioranza. I nostri giornali hanno raccontato la consultazione come una sorta di Caporetto dei sogni di gloria di Meloni e Weber, una morte ancora prima di nascere dell’asse popolari-conservatori. La realtà però dice l’opposto: oltre il 90% degli europarlamentari del Ppe ha votato contro la maggioranza di cui fa parte e questo significa che il partito è di fatto pronto al salto già adesso, quando il centrodestra non ha ancora ottenuto il bagno di consensi atteso per il 2024.
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Se si considera che la consultazione ha spaccato anche i liberali, con 28 su 101 che hanno votato contro Ursula e a favore di Giorgia e Manfred, si capisce che la lettura di quanto avvenuta è opposta a quella resa dai progressisti e dai loro organi di stampa: l’approvazione del piano verde è stata una sorta di canto del cigno dell’alleanza tra sinistra e moderati che sgoverna a Bruxelles da decenni. Quei numeri così risicati dicono che il centrodestra è già quasi maggioranza e che si attendono le urne solo per consacrarne l’euro-affermazione.
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