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Santanché, Pietro Senaldi: "Gioco di sponda tra pm e giornali: è il sistema Palamara"

Pietro Senaldi
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Se non sono indagata ma un giornale (Il Domani di De benedetti) scrive che lo sono e nessuno smentisce, è grave. Se invece sono indagata e lo vengo a sapere dalla stampa, che le procure informano prima di me, è ancora più grave. Questo il ragionamento della Pitonessa in Senato, che si è difesa attaccando.
Ma certo che la fratella d’Italia era indagata: falso in bilancio e bancarotta fraudolenta, da febbraio scorso. Solo che la Procura di Milano lo ha reso ufficiale, guarda caso, un pugno di ore dopo che Daniela Santanchè aveva terminato la propria arringa. Un colpo basso che ha avuto il clamore di un pugno sul naso. Giorgia Meloni aveva già messo le mani avanti: si comincerà a ragionare di dimissioni casomai arrivasse il rinvio a giudizio. A prescindere dal merito della questione e dalle eventuali colpe del ministro del Turismo, per come si è messa la vicenda è facile che non si dovrà attendere molto. Non contano i dettagli della storia, è che ci sono tutti, e in bella evidenza, i segnali che attorno alla pitonessa si è attivata, e la stringe come un boa, quella tenaglia mediatico-politico-giudiziaria, vituperatissima ma immanente, che ha già stritolato tanti politici prima della Santanchè; molti dei quali poi sono risultati innocenti.


Abbiamo assistito a un’indignazione collettiva contro il marcio della magistratura, il cosiddetto sistema Palamara, aperto come una scatoletta di tonno, delegittimato e ripudiato per poi rimanere uguale a se stesso, un po’ come il Parlamento dopo la cura grillina. Il sistema che ha brevettato il metodo del “Salvini è innocente ma dobbiamo processarlo perché è un nemico politico”, tanto per intendersi; queste furono le parole segrete e intercettate dell’allora capo dei magistrati per giustificare a colleghi esterrefatti l’accusa al capo leghista di essere un sequestratore di bambini. Oggi quella frase è pubblica ma l’ex ministro dell’Interno è ancora alla sbarra.
La pitonessa è protagonista di un film visto troppe volte. A un certo punto una persona che non piace a certa magistratura e ai suoi danti causa arriva a una posizione di potere che per i suddetti non è opportuno o giusto che essa occupi. Ecco allora che, grazie all’obbligatorietà dell’azione penale, la quale altro non è che la piena discrezionalità dei pm su cosa indagare e cosa no, parte un’inchiesta, che viene tenuta nascosa per un po’. Quando si è messo insieme un quantitativo sufficiente di robaccia, accuse, pretesti, teoremi, fumo di reati, tutto quello che può far brodo, in tvo nei giornali si muovono gli inchiestisti, tutti progressisti e con fidate fonti, ma per qualcuno sono committenti, nelle procure. Nel caso della Santanché, sospettata di falso in bilancio e bancarotta fraudolenta per mancati versamenti al Fisco, nel frullatore finiscono particolari succosi della sua vita di lusso come la sua Maserati ma anche multe che non ha preso lei e contratti pubblicitari ottenuti dalla sua agenzia per terzi che vengono presentati quasi fossero fondi neri.

 

È qui che entra in campo la politica di parte avversa, che chiede la testa della vittima, opera un processo preventivo, grida allo scandalo, preme sul Quirinale perché induca al passo indietro, sostiene che la frittata è fatta a prescindere dalle reali responsabilità penali, apre la questione morale. È la fase della pressione mediatica, che mira a far perdere lucidità alla vittima e crearle il vuoto intorno, giocando anche sulle rivalità e le invide dello schieramento a cui appartiene. A quel punto, qualcuno sbaglia una frase o una mossa. Magari si difende sostenendo una cosa che viene contraddetta a stretto giro di posta, come quel «nessuno mi ha detto che sono indagata» pronunciato dal ministro in Senato. E poi, quando il malcapitato traballa, arriva il rinvio a giudizio, la pedata. A quel punto, chi si è visto si è visto, il risultato è raggiunto e la questione sparisce dal dibattito pubblico. Normalmente ricompare due o tre anni dopo, in venti righe a fondo pagina che informano che il presunto colpevole è stato assolto. Il sistema non fa neppure finta di costernarsi, tanto è impegnato a far la pelle dei nuovi che nel frattempo ha messo nel mirino. Santanché, non sappiamo se sei innocente o colpevole, ma abbiamo contezza che c’è già chi è più colpevole di te.

 

 

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