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Ignazio La Russa, "perché Meloni governa e la Schlein no"

Pietro Senaldi
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«La Fiamma nel simbolo di Fratelli d’Italia è una conseguenza. Ad accenderla è la fiamma che brucia nei cuori di tutti noi, quella della passione politica, che nasce dall’amore per l’Italia». Il bagno di popolarità fatto al festival dei giovani meloniani che si è tenuto all’Eur è rimasto attaccato a Ignazio La Russa, capitano di lungo corso della politica ma capace di commuoversi come un ragazzino, soprattutto di fronte a una platea di studenti che in piedi e plaudente intona il coro «un presidente, c’è solo un presidente». È tutta una questione di memoria, secondo il fondatore di Fratelli d’Italia, «perché se non hai memoria non hai futuro». Ed è questa, forse, ragionando di politica, la causa principale della crisi di rappresentatività della sinistra, che «ha perso memoria della propria storia e dei propri valori», commenta il presidente.

 

 

 

«Non so se la autorizzo a mettere nero su bianco la nostra chiacchierata, perché quando parlo a braccio mi piace essere fedele a me stesso; e ogni tanto magari sbaglio», riflette La Russa. Che a passare una mezza giornata con lui, fra i suoi parlamentari e i suoi fan, ti viene il sospetto che non cerchi la provocazione, ma solo che si diverta un mondo a far politica e non riesca a smettere di divertirsi. Mai. Fa politica anche quando si riposa. «Venerdì ho fatto vacanza», spiega, «ho portato le mie due nipotine a Genova a visitare il veliero della Marina Militare Amerigo Vespucci, che è partita per una missione di due anni in giro per il mondo e alla mia età non si sa mai».

 

 

Presidente, parliamo del Ventennio. 
«Volentieri, belli i miei vent’anni. O intendeva il primo ventennio berlusconiano?». 
Ho capito, stavolta la fiamma resta nel cuore, non vuole parlare di fascismo... 
«Meglio di no, per non essere frainteso. Mi piacerebbe parlarne con profondità storica, senza i paraventi dell’ideologia. Senza che nessuno possa tentare strumentalmente di mettere in dubbio il mio convinto attaccamento ai valori della nostra Costituzione. Magari lo farò quando smetto con la politica». 
Quindi mai. Perché non in un libro? 
«Non scrivo di politica. Scrivo di altro, di fantascienza, di noir, di ironica rivisitazione di episodi della mia vita, racconti per me stesso non destinati alla diffusione. D’altronde ormai sono piu quelli che pubblicano libri di quelli che li leggono. Io preferisco questi».

Presidente, lei è la seconda carica dello Stato, non ha mai pensato di istituzionalizzare il suo linguaggio? 
«L’abito fa il monaco se il monaco ha poca stoffa. Devi restare te stesso qualunque cosa tu faccia. Poi a volte occorrerebbe adeguare i toni, ci sto provando». 
Difatti la criticano sovente per i toni, sostengono non siano da presidente... 
«Io credo che all’opposizione dia fastidio soprattutto il fatto che io stia a Palazzo Madama e Giorgia a Palazzo Chigi, i toni sono un pretesto. Ma le sembra normale che l’opposizione pretenda di cambiare la maggioranza, cioè che un partito voglia cambiare il proprio rivale?».

Lei non vuole cambiare il Pd? 
«Guardi, a me la Schlein va benissimo così com’è, mi sta pure simpatica. Che i dem ce la conservino». 
Lo stato di salute delle opposizioni non mi pare dei migliori... 
«Sono presidente di tutti e senatore di parte. Io penso che la crisi dei dem sia dovuta alla presa di coscienza da parte del loro elettorato che il re è nudo. Mi spiego: specie negli ultimi anni, si è vestito di nulla e ora che forse servirebbe tirar fuori dal cassetto la sinistra, non sa dove l’ha messa, non la riconosce e non sa cosa mettersi». 
Le dispiace che Berlusconi non l’abbia votata? 
«Ma lui mi ha votato, è il resto di Forza Italia che non lo ha fatto per una polemica estranea alla mia persona. Pazienza, ho avuto un soccorso rosso. Comunque, è acqua passata».

 

 


 
Come andrà Forza Italia senza Berlusconi? 
«Io sono ottimista. C’è bisogno di Forza Italia. Infatti né la Meloni né Salvini, a quanto mi risulta, sono intenzionati a lanciare un’opa sul partito. Tutto filerà liscio, immagino fino alle Europee, quando ci si riconterà». 
Si dice che questa maggioranza a trazione meloniana sia il lascito di Berlusconi al Centrodestra, perché alla fine ha creato una costruzione in grado prima di superarlo e poi di sopravvivergli... 
«Non sono d’accordo. Berlusconi ha avuto il merito di rendere la nostra destra votabile da tutti, di creare le condizioni perche gli elettori la sdoganassero. Ma non dimentichiamo che Berlusconi più che di Centrodestra, era soprattutto berlusconiano».

E allora di chi è il merito? 
«Primo dei nostri padri, gli sconfitti, che dopo la Seconda guerra mondiale accettarono la democrazia e fondarono il Movimento Sociale. Poi di Alleanza Nazionale, che diede alla destra una prospettiva di governo. Infine nostro, di Fratelli d’Italia, che quando capimmo che il Centrodestra di Berlusconi, dopo la creazione del Popolo della Libertà e le note difficoltà con Fini, rischiava di diventare solo l’espressione parlamentare di Silvio, lo abbandonammo per fondare Fdi. Senza quel passaggio, oggi quel piccolo gruppo di reduci di An al quale appartengo non sarebbe mai diventato partito di maggioranza».

Fini ha sbagliato più per ambizione personale o perché ha nascosto troppo sotto il tappeto la memoria, ovvero le sue origini, un po’ come ha fatto il Pd? 
«Non voglio criticare Fini. Il tema meriterebbe un’intervista dedicata. Fini ha fatto molti errori, culminati con la creazione di Futuro e Libertà. Ma ha avuto anche tantissimi meriti e io voglio pensare a quelli. Gianfranco per me resta un cruccio». 
Quanto siete cambiati, dovendo assumere la responsabilità di guida del governo? 
«Giorgia come persona non è cambiata affatto. Sempre grintosa, determinata, secchiona, accentratrice, geniale». 
Dicono che è diventata una draghetta... 
«Tutto va bene pur di criticare. Chi le dà della draghetta è lo stesso che accusa il governo di essere ideologico e di voler imporre la propria supremazia culturale». 
Non è così? 
«La sinistra fatica ad abituarsi a una realtà nuova. C’è sempre stato, anche durante la prima Repubblica, un sistema che garantiva alla sinistra di governare, almeno alcuni settori. Oggi non è più così, comanda chi vince, e non basta dire che siamo stati eletti dal popolo bue, come fa la sinistra quando perde, perché il popolo ha sempre ragione, anche quando sbaglia». 
La Meloni si è definita una donna pratica, e il problema pratico qui sono i conti, non l’ideologia. Perché l’attacco alla Banca Centrale Europea per la politica del rialzo dei tassi?
«Abbiamo ereditato un debito pubblico ai massimi livelli. Se si alza il costo del denaro, si alzano gli interessi che dobbiamo pagare sul debito e questo drena risorse alla politica economica di rilancio». 
Infatti l’anima sociale della destra al momento si è vista poco... 
«Dovremmo imparare a ragionare sui cinque anni di legislatura. Io non sono al governo, le ricordo, ma penso che sarebbe stato imprudente per la Meloni partire in quarta con tutte le sue idee. Questioni di tempi tecnici». C’è un problema salari: le imprese non trovano dipendenti eppure gli stipendi non si alzano, come mai? «Perché sono venuti al pettine i nodi di scelte di politica economica sbagliate e che noi abbiamo sempre contestato fin dalla nostra formazione». 
Chiudiamo parlando del colpo di testa di Lukaku nella finale di Champions, lei è anche presidente dei parlamentari interisti... 
«Ed è la carica di cui vado più fiero ma di quella sera ancora non me la sento di parlare. Magari tra un ventennio... ».

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