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Sondaggio-Pregliasco, "effetto Elly bruciato": Pd ancora fermo

Elisa Calessi
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L’effetto Schlein sembra finito, nonostante siano passati pochi mesi dalle primarie. Risulta anche a voi?
«A livello nazionale i sondaggi dicono che effettivamente il Pd, dopo l’elezione di Schlein, ha avuto una crescita, passando dal 17% al 20%. Da un paio di mesi, però, il Pd è fermo attorno al 20%».

Come mai?
«Un pezzo della crescita si deve al calo dei Cinquestelle. Alla vigilia delle primarie, il M5S era attorno al 17%. Adesso è un paio di punti sotto. Evidentemente ora non c’è più niente da cogliere dal M5S. E non si è andati oltre».

Lorenzo Pregliasco, fondatore di YouTrend, esperto di comunicazione politica e docente all’Università di Bologna, è in libreria con Il Paese che siamo (Mondadori), che, facendo il verso al celebre discorso della discesa in campo di Silvio Berlusconi, ripercorre la storia dalla Prima Repubblica all’Antipoltica. Con lui parliamo del Pd.

Elly Schlein non ha conquistato nuovi voti?
«Molto poco. L’effetto Schlein, la benevolenza con cui i media l’hanno accolta, non poteva che durare poco. Anche perché era legato al fatto che c’era qualcosa di nuovo. Adesso quel “nuovo” non è più così nuovo e quindi quell’apertura di credito non c’è più. Per crescere serve altro».

È la prima volta che un segretario fatica a pochi mesi dalle primarie. Perché?
«Da un lato perché ha avuto una serie di elezioni che, per quanto locali, hanno intaccato la sua forza, l’idea che potesse parlare a elettorati nuovi, sfidare Meloni su terreni nuovi. Questa immagine di vincente è stata ammaccata da una sequenza di risultati negativi: le elezioni in Friuli, le Amministrative, le Regionali in Molise. Ovviamente questi risultati non si possono imputare a lei, ma in politica una delle cose più difficili è scrollarsi di dosso l’immagine di perdente. Poi c’è un altro fattore».

Quale?
«Questi risultati hanno riacceso le critiche dentro il partito e questo traspare nelle cronache, nei talk-show. Si ha la percezione di una leadership contestata. E questo pesa sulla sua immagine».

Fa bene a puntare sul salario minimo?
«In questi anni il Pd ha trascurato le questioni che hanno a che fare con il lavoro. Non è sbagliato puntare su questo. Anche perché, se no, il rischio è di lasciare questi temi al M5S.
Come accaduto alle Politiche».

Ma se il Pd cresce, il M5S cala. Non è un gioco a somma zero?
«Il problema è che gli interessi del Pd e del centrosinistra non sono sempre gli stessi. Intanto il centrosinistra alle Europee non esiste. Poi, certo, alle Politiche, una coalizione ti serve, almeno finché si vota con questa legge. Va considerato, però, che l’elettorato è mobile. Nessun partito di successo gioca solo su uno spazio e preoccupandosi degli altri. I partiti hanno successo quando hanno una proposta che li rende più appetibili».


Però l’anno prossimo si votano in molte regioni, dove le alleanze contano.
«Sì, ma in gran parte delle regioni al voto, il centrosinistra è largamente in minoranza. Non conta se Pd fa il campo largo o no, se si allea con il Terzo Polo o no: non si risolve con un 5% in più o in meno. E poi le alleanze non sempre dipendono dal Pd».

La segretaria ha lanciato l’estate “militante”. La convince?
«È un messaggio che richiama quell’immaginario da sinistra di piazza che stona un po’ con la percezione attuale del Pd».

Che percezione è?
«Di un partito di governo, di sistema. L’estate militante è un tono un po’ estraneo a ciò che rappresenta. Però se l’obiettivo è allargare, allora prima o poi bisogna fare cose che cambino l’inerzia del Pd. Il motivo per cui Schlein ha vinto le primarie è perché era diversa dagli altri. L’aspettativa è che faccia cose diverse. Certo è, però, che questa spinta stride un po’ con il corpaccione del Pd. È come se esistessero due Pd. Il problema è come tenerli insieme, senza far crollare tutto».

Fin qui il Pd non ha mancato una piazza. Ha fatto bene?
«Qui vedo un errore. Puoi anche condividere un messaggio con un altro partito. Però le modalità con cui si è scelto, per esempio, di andare alla manifestazione di Roma del M5S, raccontano che non era una scelta convinta. E quindi non era credibile. Così perdi punti nei confronti di chi non si fida di Conte, ma non ne guadagni nemmeno tra elettori a metà tra Pd e M5S, perché vedono un Pd al traino e quindi preferiscono puntare sul partito che quella iniziativa l’ha lanciata».

Molti si chiedono: ma Elly è di sinistra o no?
«Subito dopo le primarie, in tanti dicevano: “Adesso finalmente nessuno potrà dire che il Pd non è di sinistra”. Senza dubbio nella vittoria di Schlein c’era la richiesta di un partito più netto, più riconoscibile. Non so se più di sinistra. Il tema, enorme, è cosa sia la sinistra. Certo è di sinistra che il Pd si batta per il salario minimo. Ma ci sono altri temi - sempre di più - su cui è più difficile definire cosa sia di sinistra. Per esempio i diritti o l’immigrazione. L’automatismo per cui sinistra vuol dire Gpa e ddl Zan è discutibile. Certo, Schlein ha una biografia di sinistra. Borghese, metropolitana, però sinistra».

Come valuta il suo linguaggio?
«La chiarezza non è sempre il suo forte. Su questo, Bonaccini la batte. Detto questo, Schlein ha vinto le primarie anche per il suo modo di parlare. Era percepita come qualcosa di diverso, di alternativo, di più contemporaneo. Il suo eloquio è diverso da quello del classico politico. Non necessariamente più chiaro. Se Schlein ha vinto forse è anche per questo: incarna una proposta più saporita. La domanda è: ma è la stessa cosa che cerca l’elettorato potenziale del Pd, quello incerto? Perché se non è così, sarà difficile per il Pd allargare il consenso».

Che consiglio le darebbe?
«Di preoccuparsi meno delle alchimie e più di fare una strada anche fuori dagli schemi, ma di proporre qualcosa di credibile al Paese». 

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