Pd, "non è un crollo momentaneo": il sondaggio-bomba che cambia gli scenari
Paolo Mieli, per storia professionale, è un’istituzione, oltre ad essere una persona squisita e un intellettuale importante (soprattutto come storico). Dopo Scalfari è anche (un po’) la bussola dell’area di centrosinistra. Un’autorità. Però rischia – come lui – di prendere qualche granchio. L’ultimo curioso infortunio è accaduto venerdì scorso, quando, ospite di Lilli Gruber a Otto e mezzo, Mieli si è (molto) sbilanciato in una “profezia” su Elly Schlein che l’indomani mattina (ieri) è stata clamorosamente smentita dal suo stesso giornale.
Infatti ha detto: «Voi non lo vedete perché siete ciechi, ma secondo me c’è una crescita di una persona, Elly Schlein, che si vede nei sondaggi come crescita personale».
MALEDETTI NUMERI
Le ultime parole famose... Mentre stava parlando, al Corriere della sera stavano mettendo in pagina il periodico sondaggio di Nando Pagnoncelli (Ipsos), da cui emerge l’esatto contrario. Nel “gradimento per i leader di partito”, Schlein precipita al 26 per cento. Viene dopo Antonio Tajani (che per la scomparsa di Berlusconi ha avuto una certa visibilità ed è al 34), dopo Matteo Salvini (in crescita, al 31) e dopo Giuseppe Conte (in calo, al 30). E non si tratta di un crollo momentaneo. È costante: Pagnoncelli dava il “gradimento” per la Schlein, a marzo, al 34, ad aprile al 33, a maggio al 31 e ora siamo al 26 (poco sopra al 23 di Maurizio Lupi). Cosicché appare surreale il titolo del Corriere: «Si ferma l’effetto Schlein». Perché l’effetto Schlein non si ferma affatto: continua, ma è una discesa.
Mieli, venerdì, ha aggiunto che, certo, la Schlein «ha dietro quel caravanserraglio», intendendo il Pd, «ma io la osservo con attenzione: Elly Schlein è il personaggio nuovo. Se arriverà intatta alla fine darà un grande risultato. È sempre avanti al suo partito, se lo trascina al 23 o 24 per cento e il partito sta al 20 o 21. Ci sarà una sorpresa nella vita politica dell’anno prossimo che ha un nome e un cognome». Anche in questo caso, Pagnoncelli ieri ha dato un dispiacere all’ex direttore e oggi editorialista del Corriere, perché il sondaggio per il Pd è disastroso: perde 1 punto percentuale in un mese, scendendo dal 20,4 di maggio al 19,4. Così va sotto la soglia psicologica del 20 per cento. Oltretutto con il centrosinistra che nel suo complesso crolla al 24,1 per cento (perde l’1,6 rispetto al 25,7 di maggio), mentre il centrodestra guadagna lo 0,2 per cento salendo al 46,7 per cento.
Si dirà che i sondaggi sono ondivaghi e non bisogna considerarli troppo. Solo che questi sondaggi trovano conferma nelle urne: le elezioni, nel periodo della segreteria Schlein, sono state devastanti per il Pd. Nelle regionali del Friuli, in aprile, il centrodestra ha vinto con il 64,24 per cento, più del doppio del candidato di centrosinistra che ha preso il 28,37 per cento.
Poi alle successive comunali di maggio per il Pd è stata un’autentica disfatta: ha perso un po’ dappertutto, anche in Toscana, un tempo terra rossa, a cominciare da Siena, la città della famiglia materna della Schlein, dove la segretaria puntava alla rivincita e si era spesa personalmente in campagna elettorale. Infine il Molise, in giugno: il candidato di centrodestra ha trionfato con il 62,24 per cento contro il 36,62 per cento del candidato del centrosinistra.
Una serie di batoste elettorali. Vincenzo De Luca è stato implacabile: «La segretaria del Pd aveva avvertito che la rivoluzione non è un pranzo di gala. Ma almeno un tramezzino elettorale, un mezzo spuntino. Niente. Vedendo il risultato delle elezioni del Molise siamo ridotti alla fame elettorale». Il governatore ha concluso ironicamente: «Siamo all’ennesimo successo travolgente del centrosinistra e del famoso campo largo». Certo, De Luca è in guerra aperta con la segretaria Pd che vuole negargli il terzo mandato e così rischia di consegnare al centrodestra pure la Campania, una delle poche regioni rimaste al Pd. Tuttavia non si può dire che De Luca abbia torto. Se nelle elezioni di aprile, quelle del Friuli, Schlein poteva dire di essere appena arrivata, è molto difficile ripetere la stessa giustificazione per le consultazioni successive. Mieli venerdì ha sostenuto che la segretaria dovrebbe liberarsi della «vecchia parte del gruppo dirigente» e andare avanti con i suoi (che però non hanno le idee di Mieli). Tuttavia il metodo di governo del partito della Schlein pare già molto personale, non collegiale. È lei che decide, infatti i “vecchi” che provengono da Pci e Dc (soprattutto i cattolici) sono assai scontenti (personalità di un certo rilievo, com’è noto, se ne sono già andate in polemica con la nuova leadership del partito).
VECCHIE BOCCIATURE
Fra l’altro il 27 aprile scorso proprio Mieli, sul Corriere, aveva mosso alla Schlein delle critiche che sembravano decisamente una bocciatura: «L’attuale sinistra appare destrutturata come mai lo è stata nella sua lunga storia» e questo, «nelle rare occasioni in cui è costretta a rispondere a delle domande in pubblico, fa scivolare Schlein nei gorghi di nebbiose fumisterie che le consentono di affrontare in qualche modo l’imbarazzante situazione in cui viene a trovarsi chi deve pronunciare dei chiari “sì” o dei netti “no”. Cosa per lei al momento impossibile». Cosa è successo nel frattempo? Solo una serie di sconfitte elettorali. Difficile dedurne che la Schlein vada verso un trionfale 2024 come crede Mieli (c’è perfino da dubitare che, di questo passo, resti segretaria fino alle elezioni europee). Peraltro l’indice di gradimento del governo (secondo Ipsos) è addirittura in crescita (dal 51 al 52) e quello della premier è stabile a 53 punti. Il momento, per il centrodestra, sembra decisamente buono. Ieri perfino il direttore del Foglio sosteneva che chiunque, al posto della Meloni, vorrebbe Elly Schlein «alla guida del Pd per il prossimo ventennio».