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La Cina ora minaccia l'Italia: "Azioni coercitive", cosa c'è in ballo

Mirko Molteni
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La Cina sta pressando l'Italia, al limite delle minacce, affinché rinnovi entro la fine del 2023 il memorandum che dal 2019 affilia il Belpaese, unica nazione del G7, alla “Nuova via della Seta”, alias Belt and Road Initiative. La premier Giorgia Meloni ha già avvisato Pechino: «Possiamo avere rapporti di commercio e cooperazione anche al di fuori della Via della Seta». L'accordo firmato nel 2019 dall’allora primo ministro Giuseppe Conte, se non rinnovato, decadrà. Ma di fronte a rischi, economici, strategici, perfino di spionaggio, legati a un abbraccio troppo stretto con la Cina, l'attuale governo italiano pare orientato alla prudenza. Dal giornale cinese Global Times traspare il tono inquietante dell'ambasciatore in Italia, Jia Guide: «Se l'Italia non rinnoverà l'accordo sulla Belt and Road entro fine anno, ciò avrà un negativo impatto sull'immagine e credibilità dell'Italia e sulla cooperazione». E poi: «Si butterà acqua fredda sulla cooperazione in vari campi, nella politica, nell'economia, nel commercio, nella cultura. La Cina è un partner insostituibile».

Tanto ha fatto commentare a esperti di economia come Alberto Forchielli: «Adesso i cinesi ci minacciano di azioni coercitive se lasciamo la via della seta, disgustoso». Il Global Times sciorina i risultati dell'avvicinamento commerciale Italia-Cina: «Dal 2019 al 2022 il commercio bilaterale è cresciuto di quasi il 42%. Nel 2022 ha sfiorato 78 miliardi di dollari e l'export italiano in Cina è saluto del 42% dal 2019 al 2021». E inoltre: «La prima nave da crociera costruita insieme dai due paesi e varata a Shanghai, prima di sei al costo totale di 5 miliardi, una joint venture italo-francese in Cina per semiconduttori da 3,2 miliardi e sette accordi per export di prodotti italiani in Cina». Ma la Meloni ha osservato, intervenendo alla Camera alla vigilia del Consiglio Europeo di ieri e oggi: «Quella cinese e quella europea sono economie per molti aspetti interdipendenti, il cui rapporto è stato spesso viziato da pratiche distorsive e dovrebbe invece evolvere verso standard e regole comuni».

 

A WASHINGTON
Entro fine mese la premier italiana si recherà a Washington per rassicurare gli Stati Uniti sul fatto che l'Italia non opterà per approfondire il rapporto con l'avversario principale per l'egemonia nel Pacifico, e non solo. I cinesi, capita l'antifona, hanno inviato dal 26 giugno in Italia una missione speciale guidata da Liu Jianchao, capo del Dipartimento rapporti internazionali del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese. Liu ha incontrato a Milano imprenditori dell’Associazione Italia-Cina, poi, giunto a Roma, ha visto il presidente del Senato, Ignazio La Russa. Tenta di fare lobbying, alternando bastone e carota. Il nervosismo di Pechino nasconde una debolezza intrinseca. La Cina tenta di far credere che l'Italia abbia bisogno di lei per svilupparsi, mentre in realtà è più vero il contrario, dato che il boom cinese degli ultimi 25 anni è dovuto all'espandersi delle sue esportazioni. Se gli altri paesi decidono di comprare meno prodotti cinesi, l'apparato industriale del Dragone si affloscia, senza contare la vulnerabilità strategica di un colosso che, dipendendo dal surplus di esportazioni per pagare importazioni di cibo ed energia, può essere, teoricamente, ridotto in miseria da un blocco navale.

LA GABBIA
Ecco perché Pechino punta tutto sulla Nuova Via della Seta, sorta di “gabbia” per impedire a varie nazioni della cintura eurasiatica di ripensarci e interrompere i suoi flussi mercantili. Ed ecco perchè del piano fa parte anche la base militare cinese di Gibuti, che controlla gli accessi dal Mar Rosso verso Suez e il Mediterraneo, senza contare il controllo cinese su vari porti, tra cui il Pireo in Grecia, e la presenza di società cinesi nel porto di Taranto. Perfino a Gioia Tauro ci si chiede se l'acquisto di tre enormi gru dalla società cinese ZPMC, già sospettata dai servizi segreti USA, possa aprire la strada allo spionaggio elettronico di Pechino nel porto calabrese, dato che i sofisticati impianti potrebbero raccogliere dati e inviarli on line in Cina. Una parola definitiva sulla Via della Seta arriverà attraverso il Parlamento italiano, che esaminerà la questione sotto la spinta del senatore Giulio Terzi di Sant’Agata di Fratelli d’Italia, presidente della commissione Politiche dell’Unione europea a Palazzo Madama, e della senatrice Stefania Craxi di Forza Italia, presidente della commissione Affari esteri e Difesa. 

 

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