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Elly Schlein contro la Rai: "Fa spot alla natalità". Fare figli è di destra?

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Francesco Specchia
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Ma qual è il problema, scusate? Adesso i figli non possono essere più piezz’e core? Che cos’ha Elly Schlein contro gl’incentivi alla natalità promossi dal servizio pubblico? Che c’è di male nell’augurio biblico, in quel “crescete e moltiplicatevi” che lambisce, i palinsesti e il contratto di servizio della Rai? Con quel tono sempre a metà tra Tina Anselmi e Virginia Woolf twitta, infatti, la segretaria Pd: «Nel contratto di servizio Rai viene tolta la valorizzazione del giornalismo di inchiesta e invece inserita la promozione della natalità. Che significa e come incide sulla programmazione? Un governo di ipocriti che intanto aumenta la precarietà e sta per tagliare il Pnrr sui nidi».

Ora, a parte il fatto che ci immaginiamo lo sguardo sconsolato al cielo, da saggio democristanone dell’amministratore delegato Rai Roberto Sergio mentre tenta di spiegare che il «giornalismo d’inchiesta» di Report è vivissimo e lotterà insieme a noi proprio nel giorno di maggior ascolto e nello spazio domenicale del fu Fazio (e un lancio d’agenzia lo conferma). E, a parte il fatto che il governo Meloni s’è già espresso innumerevoli volte sull’«assegno unico, più soldi, asili nido gratuiti e aperti fino alla sera, taglio Iva per pannolini» e sulla famiglia «al centro dell’azione di governo», modello welfare francese. E, a parte tutto questo, insomma, be’, non si capisce quale ansia roda dal di dentro la compagna Elly (che ’sti giorni, dalle piazze sbagliate alle elezioni perse, è lievemente fuori sincrono).

 

 

 

STRANA CORRELAZIONE

Non lo capisce Gigi De Palo, cattolico di ferro del Forum famiglie che le controtwitta: «Scusa Elly, ma che c’entra? Perché mettere in correlazione le due cose? La natalità non riguarda il Pd? Ti prego non trasformare l’inverno demografico in questione ideologica. Non è di destra. Così come – mi permetto - le inchieste non sono di sinistra». De Palo non ha torto. Schlein non gli risponde. Ma, a dire il vero, non lo fa nessuno degli schleiniani. Tranne l’Ilaria Cucchi, la quale sentenzia «le donne non fanno figli perché precarie, per sconfiggere la denatalità nel Paese bisogna partire dalle donne». Ma peccato che la deputata di Alleanza Verdi e Sinistra si esprima rivolta proprio alla prima donna Presidente del Consiglio della storia d’Italia; e proprio nella congiuntura in cui il Paese si trova al il massimo grado d’occupazione (il 61%) dal 1977, e con il traino inedito proprio dell’occupazione femminile a contratti fissi. Ma tant’è, non è questo il vero problema.

E allora, per tornare a bomba, qual è il vero problema? Perché se per l’82% degl’italiani – secondo il recente sondaggio dell’Emg Different di Masia - è necessario «agire subito contro la crisi demografica», be’, quella parte del Pd che si riconosce in Schlein considera l’incremento della natalità non un impegno ma un disvalore? Perché la Schlein ritiene urticante fare più figli, specie se sono quelli degli altri? E ciò avviene nonostante il nostro attuale record negativo di 339mila nascite a fronte di 700mila morti; e nonostante il più grave «calo delle nascite da 160 anni a questa parte», numeri certificati dall’Istat che non è esattamente un organo nazifascista? Perché, dunque, questo faticoso accanimento contro il lemma “natalità”? Varie sono le scuole di pensiero. La prima: a sinistra/sinistra si è contro la diffusione delle natalità perché il sottotesto la evoca come un cavallo di Troia contro la 194, la legge sull’aborto. La 194 è conquista sociale che nessuno ovviamente, a destra, ha mai avuto intenzione di toccare.

Ma anche fosse: che male ci sarebbe se una donna che vuole abortire, spinta a cambiare idea, alla fine si tiene il figlio della colpa? Qui in redazione, una collega che da ragazza-madre ha evitato l’interruzione della propria gravidanza è da anni la genitrice più felice del mondo. Avesse abortito, se ne sarebbe pentita per la tutta vita. Per dire. Seconda scuola di pensiero di Schlein e compagni: la natalità – in senso tradizionale, quella da papà&mamma - non è in Italia permessa e riconosciuta tra omosessuali. Non piacerà ad alcuni, ma si tratta di una legge dello Stato, peraltro ratificata dalla Corte di Strasburgo che si è pronunciata sul divieto di trascrizione in Italia di figli riferita alla «gestazione per altri» che noi volgarmente chiamiamo «utero in affitto». Sicché può diventare un riflesso pavloviano, da parte della Comunità Lgtb di cui la segretaria Pd è autorevole rappresentante «non promuovere la natalità tradizionale, perché sennò non ci fanno fare l’altra, quella nostra...». Si tratterebbe di un retropensiero abbastanza rozzo.

Mi rendo conto. Ma può derivare da un blocco ideologico che consegna al pregiudizio dell’omofobia qualunque iniziativa che scongeli, shakespearianamente, l’inverno demografico del nostro scontento. Resta, a fronte di questa illogica riottosità al buonsenso, l’obiettivo scandito dalla premier: «Il governo ha messo la natalità e la famiglia al centro del suo impegno. Elo ha fatto con una visione di sistema, portando avanti un lavoro trasversale a tutti i ministeri e considerando in ogni ambito il criterio dei figli come criterio fondamentale».

 

 

 

LO SPOT

Un figlio non è solo un affare di famiglia né un pregiudizio politico, come insegnano Luca Cifoni e Diodato Pirone nel pamphlet La trappola delle culle (Rubettino). La natalità incrocia soldi, precariato, delega fiscale, immigrazione. E, come tutte le rivoluzioni, ha bisogno del suo spot... 

 

 

 

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