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Mes, Lega contro Giorgetti: "Noi restiamo contrari"

 Giancarlo Giorgetti

Sandro Iacometti
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L’Italia non utilizzerà mai il Meccanismo europeo di stabilità (il famigerato Mes), ha ribadito recentemente Giorgia Meloni dalla masseria di Bruno Vespa, continuando a parlare di uno «stigma» che marchierebbe a fuoco il Paese lasciandolo preda degli speculatori. Ratificarlo, però, è un altro paio di maniche. E a pochi giorni dalla discussione in Parlamento (prevista il 30 giugno), il pragmatismo che ha finora caratterizzato l’azione di governo torna in qualche modo a fare capolino.

A farsene portavoce è Giancarlo Giorgetti, per il quale, a differenza di molti suoi colleghi della Lega, il Mes non è mai stato una questione di vita o di morte. Anzi. Il ministro dell’Economia ha più volte fatto capire che dietro la mancata ratifica più che una sua personale avversione (sebbene Giorgetti abbia sempre sostenuto l’opportunità di inserire il Mes in un pacchetto complessivo insieme a Unione bancaria e Patto di Stabilità) c’è la contrarietà diffusa nella maggioranza (anche FI e Fdi non lo amano), di cui il governo non può ovviamente non tenere conto. Nel parere di Via XX Settembre spedito ieri alla commissione Esteri (dove sono incardinati i due ddl di ratifica), però, c’è ben di più di una equidistante indifferenza per lo strumento nato nel 2012 e che per molti continua ad evocare la troika che ha di fatto commissariato la Grecia.

 

 

IL PARERE - Secondo il documento firmato dal capo di gabinetto del ministro, infatti, non solo «non rinvengono nell’accordo modifiche tali da far presumere un peggioramento del rischio legato a suddetta istituzione», ma addirittura «l’attivazione del supporto rappresenterebbe, direttamente, una una fonte di remunerazione del capitale versato e, indirettamente, un probabile miglioramento delle condizioni di finanziamento sui mercati». E non è tutto. È anche possibile, si legge ancora, «che la riforma del Mes, nella misura in cui venga percepita come un segnale di rafforzamento della coesione europea, porti ad una migliore valutazione del merito di credito degli Stati membri aderenti, con un effetto più pronunciato per quelli a più elevato debito come l'Italia». Insomma, altro che trappola, è un toccasana.

L’eccesso di entusiasmo di Giorgetti, seppure infiocchettato all’interno di un parere tecnico, non è ovviamente passato inosservato. Soprattutto dalle parti del Pd che, ridotto ormai a brandelli dalle spaccature provocate da Elly Schlein, si è avventato sulla preda con la ferocia di un puma. Dimenticandosi in un batter d’occhio le posizioni assai scettiche sollevate nel 2021 all’indirizzo dell’allora ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, incaricato di approvare la riforma a Bruxelles, da numerosissimi economisti di sinistra.

Ancora più bizzarri gli attacchi arrivati dal Movimento Cinquestelle. Perché se è vero che alla fine fu il governo Conte II a dare il via libera alla riforma è ancor più vero che i militanti grillini hanno ingoiato la novità come si fa con un infuso di cicuta. Motivo per cui Mario Draghi, durante il suo mandato, si è ben guardato dal prendere di petto la questione, sapendo che la sua fragile maggioranza sarebbe andata in frantumi. Prevedibili e legittime, infine, le rimostranze di Italia Viva, Azione e +Europa, che del Mes sono sempre stati grandi fan, senza dubbi né esitazioni.

 

 

Ma se le opposizioni, alla fine dei conti, fanno il loro mestiere, più complicato è capire cosa sia successo nella maggioranza. Il parere del Mef ha «la firma di un tecnico che fa un altro mestiere» ma «la politica dice che il Mes non si ratifica. La posizione della Lega è sempre stata chiara: il Mes non serve quindi noi rimaniamo nella posizione contraria alla ratifica del Mes», ha detto senza pensarci due volte il deputato del Carroccio, Davide Crippa, tirando dalla sua parte anche Giorgetti.

LA LINEA NON CAMBIA - Una linea simile, del resto, filtra anche da Palazzo Chigi, dove si negano «divergenze» politiche e si assicura che la linea sul Mes non cambia. Quello del Mef, fanno sapere da Piazza Colonna è un parere «tecnico» e non «politico», che lascia inalterata la valutazione più volte espressa: il Mes è «una parte di una serie di strumenti» a partire dal nuovo Patto di stabilità, «che vanno discussi nel loro complesso» e dunque «sarebbe stupido aprire il tema adesso». Anche il vicepremier Antonio Tajani nega che il documento abbia «alcun significato politico». C’è chi sostiene che la stessa Meloni sia stata colta un po’ di sorpresa dal parere, anche se è più verosimile pensare che il suo obiettivo, così come è stato su molti altri dossier, sia più quello di portare a casa dei risultati concreti per l’Italia nelle trattative con la Ue piuttosto che impuntarsi su una questione di principio. Resta il problema del voto in commissione Esteri della Camera, dove sono depositate due proposte di legge di ratifica di Pd e Iv. Per ora l’esame è stato rinviato di 24 ore, per dare spazio alle interlocuzioni tra governo e maggioranza. La bocciatura tout court delle due proposte è una strada possibile, anche se si preferirebbe evitarla per non creare problemi con Bruxelles. La via maestra, spiegano fonti parlamentari, è quella dell’ennesimo rinvio, almeno a dopo l’estate, dell’esame in Aula al momento previsto per il 30 giugno. Un arco temporale che consentirebbe al governo di continuare ad usare il Mes come merce di scambio sul tavolo dei negoziati europei. 

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