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Forza Italia c'è, profeti di sventura subito zittiti: ecco che azzurro sarà

Salvatore Dama
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Detta così pare proprio brutta. Però, secondo l’ultimo sondaggio di Winpoll, Forza Italia avrebbe guadagnato ben cinque punti in percentuale, sull’onda emotiva della scomparsa di Silvio Berlusconi. Passando dall’8 al 13,3 per cento. È il cosiddetto “effetto Berlinguer”, misurato quando il Pci negli anni Ottanta superò la Dc alle elezioni, con la spinta emozionale impressa dalla fine improvvisa del suo segretario. Questi giorni passeranno. E allora sarà più chiaro il destino del partito, la creatura politica che il Cavaliere ha ideato e difeso fino a poche ore dalla sua dipartita. Le questioni in ballo non sono poche.

E non sono neanche facili. C’è un discorso organizzativo, c’è quello economico, c’è la prospettiva elettorale. Che, per fortuna, è la più lontana di tutte: il prossimo test importante saranno le elezioni europee dell’anno prossimo. Nel frattempo si capirà se gli azzurri saranno capaci di sopravvivere al proprio leader. Se metteranno da parte le divisioni e le antipatie personali. Se ci sarà una diaspora verso il centro (leggi Matteo Renzi) o verso destra, direzione Lega o Fratelli d’Italia.
 

LA RIUNIONE
Questi, però, sono tutti discorsi futuribili. I primi nodi già arrivati al pettine, invece, sono le nomine e i soldi (che non ci sono). Ieri si è tenuto un comitato di presidenza. Due i temi all’ordine del giorno: l’approvazione del rendiconto 2022 e la ratifica delle nomine riguardanti i coordinamenti provinciali, già decise ad Arcore negli ultimi giorni. Il primo passaggio era obbligato, data la scadenza dei termini. Sul secondo c’erano diverse perplessità ma, dato il momento particolare, l’ala critica del partito ha deciso di non aprire fronti polemici. Non subito, a poche ore dal decesso del leader. La resa dei conti, però, sembra soltanto rinviata.

Nel pacchetto di nomine, oltre ai coordinamenti, c’erano anche alcune designazioni nazionali come, per esempio, quella di Tullio Ferrante e Alessandro Battilocchio, rispettivamente a responsabile del tesseramento e dell'ufficio elettorale, nonché di Alessandro Cattaneo a vice coordinatore nazionale, ruolo che gli è stato assegnato dopo essere stato rimosso da capogruppo alla Camera. Un giro di nomine che erano state volute e “benedette” dalla first lady Marta Fascina. Entrambi i punti all’ordine del giorno sono passati all’unanimità. Però le varie aree interne azzurre vogliono capire quale sarà il ruolo della compagna del Cav nei prossimi mesi. Se continuerà a pesare nelle decisioni, magari con il consenso degli eredi di Silvio, o se tornerà a vestire il ruolo di deputata “semplice”, come nella precedente legislatura. Difficile prevederlo adesso. L’onda emotiva è troppo forte. Si vedrà. Un segnale però in queste ore è arrivato. Il temuto blitz che avrebbe portato alla suddivisione dell’organizzazione del partito in tre macro-regioni - Nord, Centro, Sud da affidare a dirigenti vicini a Marta è stato scongiurato. Se la Dynasty di Arcore non dovesse imporre la linea Fascina, la soluzione più facile da pronosticare è la nascita di un comitato di reggenza. Capitanato da Antonio Tajani, che è già il coordinatore del partito, e composto dai vice coordinatori Annamaria Bernini e Alessandro Cattaneo, dai due capigruppo Paolo Barelli e Licia Ronzulli. Con un ruolo di supervisione affidato a Gianni Letta.

E ovviamente con il beneplacito della famiglia, che eredita il simbolo e i 90 milioni di crediti vantati verso Forza Italia. Di fatto il partito è asset di loro proprietà. In tutto ciò si vocifera timidamente di un congresso per l’autunno. Ma prima bisogna pacificare le anime interne del partito, altrimenti si tratterebbe di un evento fortemente divisivo. Ovviamente gli occhi della premier sono vigili su quanto succede in casa forzista. Non perché Giorgia Meloni punti a ereditare ciò che rimane di Forza Italia. Semmai l’inquilina di Palazzo Chigi è attenta a che non capitino scossoni che possano terremotarle l’esecutivo. Poco credibile pure l’ipotesi di listoni unici da presentare alle Europee, anche in vista di una possibile alleanza a Bruxelles tra popolari e conservatori. Le sommatorie di partiti, quando si vota con il proporzionale per il Parlamento europeo, non funzionano. E comunque si correrebbe il rischio di mandare sola la Lega, creando altre tensioni.

 

 

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