Berlusconi, un uomo avanti rispetto al suo tempo: egemonia culturale? Mai
Neanche il tempo di dare l’ultimo saluto al Presidente e già si cerca di tirare le somme sulla questione dell’egemonia culturale, su quanto Silvio Berlusconi sia stato davvero influente su un campo che ha avuto, e in parte ancora, ha altri riferimenti e gli si è sempre mostrato ostile. La risposta è no, non lo è stato, per il semplice fatto che il Cavaliere era un innovatore sempre troppo avanti rispetto ai tempi, mentre la cultura in Italia è conservativa - che non ha niente a che fare con conservatrice- avvoltolata in una crosta ideologica mai smarcatasi dal cattocomunismo e suoi derivati. Per Berlusconi la parola chiave è sempre stata «libertà»: pensava a una cultura laica, liberale e liberista, impossibile da applicare in un Paese che ancora dimostra di non voler uscire dai temi del Dopoguerra, dalle aspre divisioni ideologiche, dall’intestarsi feste e ricorrenze, dal non accettare mai il confronto con l’altro. Più di parte del tifo calcistico, la cultura in Italia segna un’appartenenza limitata, sempre la stessa, invecchiata male, imbolsita.
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LA FRASE DI TREMONTI
Per decenni, a scherno, si è usata questa frase attribuita all’allora ministro delle finanze Giulio Tremonti: «Con la cultura non si mangia». A distanza di tanto tempo andrebbe riletta perché in effetti con questa idea di cultura parassitaria, statica, statalista, difensivista, imbalsamata, ingessata e divisiva non si mangia e non si digerisce. E avesse avuto ragione lui, almeno in parte, nel denunciare per primo una situazione intollerabile? Se invece intendiamo il termine egemonia come proposta di modelli nuovi e visioni imprevedibili, Silvio Berlusconi ne ha messi tanti sul piatto, sussunti dalla tv, dal mondo dello spettacolo, dall’intrattenimento come forma culturale (PS: ai puristi e ai cinefili, Mediaset oltre alle telenovelas ha portato in Italia anche Twin Peaks, la serie tv di David Lynch nel 1991, Berlusconi ha comprato Einaudi e non ha cambiato una virgola del piano editoriale).
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Come ha ricordato Paolo Del Debbio nei giorni scorsi, al momento di scrivere il programma di Forza Italia Berlusconi chiamò a sé gli intellettuali liberali del Paese, non erano pochi e soprattutto erano competenti, per un compito più utopistico che difficile: non più una cultura divisiva e novecentista, un’idea di leggerezza a rappresentare un Paese moderno dove chiunque avrebbe potuto realizzare i propri sogni e non solo quelli delle famiglie altolocate e chiunque avrebbe potuto insegnare all’università, non solo i figli dei professori.
RISERVA DI CACCIA
Sia chiaro, occuparsi di cultura non significa solo visitare le mostre o andare a teatro, ma immaginare modelli. Questo Berlusconi l’ha fatto a 360 gradi ma sulla cultura non è stato egemone perché, come una riserva di caccia, quel territorio non glielo hanno fatto toccare. Ora la situazione è cambiata, c’è un governo di centro-destra a più teste, un leader e non un monarca, e c’è finalmente l’opportunità di mettere mano all’unico progetto che il Presidente non riuscì a completare. Diventare egemoni significa guardare al presente immaginando il futuro senza ricorrere al passato (Berlusconi non è mai stato nostalgico, neppure per Marco Van Basten). Diventare egemoni vuol dire, almeno quando si parla di cultura, permettere a chiunque di esprimersi, invertire gli equilibri se è il caso, cercare sempre una via nuova. Lì fu un maestro, dobbiamo prendere il suo insegnamento, farne tesoro e se possibile migliorarlo.