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Berlusconi, un uomo avanti rispetto al suo tempo: egemonia culturale? Mai

Luca Beatrice
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Neanche il tempo di dare l’ultimo saluto al Presidente e già si cerca di tirare le somme sulla questione dell’egemonia culturale, su quanto Silvio Berlusconi sia stato davvero influente su un campo che ha avuto, e in parte ancora, ha altri riferimenti e gli si è sempre mostrato ostile. La risposta è no, non lo è stato, per il semplice fatto che il Cavaliere era un innovatore sempre troppo avanti rispetto ai tempi, mentre la cultura in Italia è conservativa - che non ha niente a che fare con conservatrice- avvoltolata in una crosta ideologica mai smarcatasi dal cattocomunismo e suoi derivati. Per Berlusconi la parola chiave è sempre stata «libertà»: pensava a una cultura laica, liberale e liberista, impossibile da applicare in un Paese che ancora dimostra di non voler uscire dai temi del Dopoguerra, dalle aspre divisioni ideologiche, dall’intestarsi feste e ricorrenze, dal non accettare mai il confronto con l’altro. Più di parte del tifo calcistico, la cultura in Italia segna un’appartenenza limitata, sempre la stessa, invecchiata male, imbolsita.

 


LA FRASE DI TREMONTI
Per decenni, a scherno, si è usata questa frase attribuita all’allora ministro delle finanze Giulio Tremonti: «Con la cultura non si mangia». A distanza di tanto tempo andrebbe riletta perché in effetti con questa idea di cultura parassitaria, statica, statalista, difensivista, imbalsamata, ingessata e divisiva non si mangia e non si digerisce. E avesse avuto ragione lui, almeno in parte, nel denunciare per primo una situazione intollerabile? Se invece intendiamo il termine egemonia come proposta di modelli nuovi e visioni imprevedibili, Silvio Berlusconi ne ha messi tanti sul piatto, sussunti dalla tv, dal mondo dello spettacolo, dall’intrattenimento come forma culturale (PS: ai puristi e ai cinefili, Mediaset oltre alle telenovelas ha portato in Italia anche Twin Peaks, la serie tv di David Lynch nel 1991, Berlusconi ha comprato Einaudi e non ha cambiato una virgola del piano editoriale).

 

 


Come ha ricordato Paolo Del Debbio nei giorni scorsi, al momento di scrivere il programma di Forza Italia Berlusconi chiamò a sé gli intellettuali liberali del Paese, non erano pochi e soprattutto erano competenti, per un compito più utopistico che difficile: non più una cultura divisiva e novecentista, un’idea di leggerezza a rappresentare un Paese moderno dove chiunque avrebbe potuto realizzare i propri sogni e non solo quelli delle famiglie altolocate e chiunque avrebbe potuto insegnare all’università, non solo i figli dei professori.


RISERVA DI CACCIA
Sia chiaro, occuparsi di cultura non significa solo visitare le mostre o andare a teatro, ma immaginare modelli. Questo Berlusconi l’ha fatto a 360 gradi ma sulla cultura non è stato egemone perché, come una riserva di caccia, quel territorio non glielo hanno fatto toccare. Ora la situazione è cambiata, c’è un governo di centro-destra a più teste, un leader e non un monarca, e c’è finalmente l’opportunità di mettere mano all’unico progetto che il Presidente non riuscì a completare. Diventare egemoni significa guardare al presente immaginando il futuro senza ricorrere al passato (Berlusconi non è mai stato nostalgico, neppure per Marco Van Basten). Diventare egemoni vuol dire, almeno quando si parla di cultura, permettere a chiunque di esprimersi, invertire gli equilibri se è il caso, cercare sempre una via nuova. Lì fu un maestro, dobbiamo prendere il suo insegnamento, farne tesoro e se possibile migliorarlo.

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