Sacher, chi non digerisce la fetta di torta a 8,90 euro: quando la qualità costa
Lo sguardo s’eleva oltre il gusto, diceva il poeta. «È lì che ho visto il caffè che o più invidiato nella mia vita, un qualcuno che scriveva su una macchina da scrivere in un hotel sorrentino, coi limoni che pendevano dall’alto, un cameriere vestito di bianco che gli portava il caffè dentro una caffettiera argentata. Lì che mi son reso conto delle differenza tra i ricchi, intendo: i veri ricchi e noi, nel pensiero non nel portafogli. Nella possibilità mentale che quello si concedeva e io no...». Lo sguardo verso il caffè. Non sappiamo se il sindaco di Trieste Roberto Dipiazza avesse voluto evocare la succitata lotta di classe combattuta tra dolci e tazzine tostate nell’oro e contenuta nel saggio appena uscito Nero e bollente Autobiografia del caffè di Ivano Porpora (Hoepli), quando, l’altro giorno, commentava l’apertura nella sua città del Caffè Sacher con i suoi prezzi lirici.
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LA FILA AL BAR
Nel Caffè Sacher, succursale furlana appena aperta dello storico locale austriaco originale, un caffè costa 3,50 euro, un latte macchiato 5,50, una fetta di Sacher torte 8,90 euro, una Sacher intera 48,50 euro; il tutto solo al bancone, se ti siedi devi considerare l’accensione di un mutuo. Abbiamo visto di peggio; se ordinate un ristretto al Caffè San Marco di Venezia potrebbero pignorarvi un quinto dello stipendio. Eppure è a causa delle lamentele sui prezzi eccessivamente –diciamoaristocratici del popolano medio che il sindaco di Trieste s’è lasciato scappare: «Se hai i soldi vai, se no guardi». E rincarando la dose: «Vorresti una Ferrari? Ma non puoi permettertela - ha precisato poi il primo cittadino rincarando la dose- e allora se passa sei lì a guardarla, dunque...». Naturalmente all’apertura del caffè nella centralissima via Dante, la coda di clienti era simile a quelle, eterne e palpitanti, dei saldi delle grandi marche nei venerdì neri delle aziende di moda.
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E la scorta di torte Sacher destinate al servizio al tavolo s’è andata assottigliando in 12 ore; e il week end ha visto la sparizione di ogni fondo di magazzino dolciario. Ma è bastata la battuta del primo cittadino per creare un caso politico (Dipiazza è un berlusconiano storico, sostenuto dalla assai patriottica destrafriulana). Il governo locale, dunque, si farebbe beffe dei poveri; si ergerebbe su arroganti pregiudizi di censo; mortificherebbe le masse che non possono permettersi una Sacher come Dio comanda nutrendosi, al limite, di pan e marmellata. Uno scenario eno-gastro-politico da far rabbrividire l’Istat quando descrive la forbice delle diseguaglianze sociali. «Sono orgoglioso anche dell’amicizia con il proprietario», ha detto Dipiazza, «voleva offrimi una fetta ma io ho voluto pagarla». E questo –sottolineano gli avversari politici significa che, almeno il sindaco, secondo i suoi stessi parametri figura tra i ferraristi. Ora, Dipiazza, aldilà dell’infelicità formale dell’affermazione –tutt’altro che politica- sulla demoplutocrazia della fetta di Sacher; be’, è un uomo diretto. Ex garzone divenuto venditore formidabile grazie l’intuizione del «compri 1, prendi 2” negli acquisti», fornisce oggiagli elettori verità pur banali col linguaggio del popolo.
REGOLA DI MERCATO
Qui ha espresso una regola del mercato liberista: se hai soldi per comprarti la roba la compri, sennò gli dai una guardatina. E, in questo caso, parliamo dell’apertura di una caffetteria di altissimo rango, perfettamente in sintonia con la tradizione triestina del Caffè Tommaseo (anno 1825, quello di Joyce e Svevo), del Caffè degli Specchi, del Caffè Torinese: luoghi d’altri tempi, portali extradimensionali verso mondi immersi nei libri e nella poesia. Sì, Dipiazza deve aver letto di certo il libro di Ivano Porpora, laddove il profumo dei dolci appena sfornati e delle bevande bollenti avvolgeva immagini antiche legate alla storia stessa della nazione; una sorta di spirito espanso che sa di miscela arabica, e che passa dal caffè Greco dipinto da Guttuso al caffè Rosati bazzicato da Pasolini, Gassman, Elsa Morante; dal caffè Aragno frequentato da Longhi, Barilli e Ungaretti; dal Pedrocchi di Padova e alle Giubbe Rosse di Firenze. Ecco Dipiazza ha avuto un guizzo lettarario. Dopodichè, in empatia col suo popolo, ha ingollato una costosissima Sacher...