Cerca
Cerca
+

Elly Schlein, la strategia delle balle spaziali: eccole tutte quante

Giovanni Sallusti
  • a
  • a
  • a

Niente, anche questa sul bavaglio fascista alla Corte dei Conti è andata. Il Giornale Unico progressista è condannato a scovare un altro affaire clamoroso che dimostrerebbe la natura autoritaria ed eversiva del governo votato dagli italiani. Dopodiché monterà un’altra polemica epocale e ci titolerà le prime pagine per un paio di giorni, finché il caso si sgonfierà inesorabilmente contro la realtà che si ostina a non adeguarsi alle riunioni di redazione, e avanti così all’infinito, in una coazione a ripetere dello scandalismo farlocco che ha ormai colmato il vuoto lasciato dall’opposizione politica.

Quest’ultima bolla di sapone è scoppiata perfino più in fretta delle precedenti. Come ha chiarito una nota di Palazzo Chigi, a prevedere che il controllo della Corte dei Conti sull’utilizzo dei fondi europei fosse “successivo” e non “concomitante” alla realizzazione dei progetti era stato anzitutto il primo decreto sull’attuazione del Pnrr del governo Draghi, maggio 2021. Del resto anche il presidente emerito della Corte Costituzionale Sabino Cassese ha detto che “ha fatto benissimo il governo a resistere alle tentazioni e limitare il controllo preventivo della Corte dei Conti”. 

O Draghi e Cassese sono due squadristi intenti a sovvertire le istituzioni della Repubblica, o forse c’è più di qualcosa da rivedere nella continua narrazione dell’apocalisse immaginaria. Ricordate? Doveva essere così già dopo la tragedia di Cutro: governo inadatto, insensibile e corresponsabile dei morti (94 accertati). Ma il teorema era troppo sghangherato, e troppo palesemente doppiopesista: per la strage di Lampedusa del 3 ottobre 2013 (368 morti accertati) nessuno si sognò di scomodare l’allora presidente del Consiglio, Enrico Letta. E nessuno può sognarsi credibilmente di scomodare la Meloni o qualche suo ministro per Cutro, come ha confermato in questi giorni anche la procura di Crotone che indaga sulla vicenda.

 

PENNE PARTIGIANE
Le penne partigiane passarono allora a un altro classico della retorica arcobaleno: i “diritti Lgbt” calpestati da questo barbaro esecutivo di destra che si permette di attuare delle politiche di destra, come in Ungheria e in Polonia. E allora fu la sollevazione dei sindaci di alcune grandi città (le uniche dove la sinistra armocromunista conserva un residuo consenso) contro l’impossibilità del riconoscimento anagrafico dei figli di coppie omosessuali nati all’estero. Peccato che, come chiarì subito la ministra Roccella, tale impossibilità è figlia anziutto di una sentenza della Corte di Cassazione del dicembre 2022.

Fu quindi la volta della polemica dadaista contro l’inaccettabile idea di Giorgia Meloni per il Consiglio dei ministri straordinario convocato il Primo Maggio in materia di lavoro (tema insopportabilmente démodé per l’intellettuale organico della Ztl): girare un video. Su alcuni giornaloni risuonò con invidiabile sprezzo del ridicolo l’allarme antifascismo, mentre perfino la Cgil nella sua polemica col governo rimosse il lievissimo dettaglio per cui in quel CdM era stato varato un taglio del cuneo fiscale che ha portato 100 euro nelle tasche dei lavoratori, specie quelli con redditi bassi.

STUDENTI IN LOTTA
Per qualche settimana oppositori, editorialisti e conduttori hanno provato a intrupparsi sotto la tenda degli studenti in lotta più o meno verosimile contro il caro affitti nelle città universitarie. Ma, a parte la scarsa credibilità di ragazzotti che trovano una moderna forma di deportazione farsi in treno da Seregno a Milano, investire sulla protesta campeggiante ha aggiornato il concetto di autogol politico: le città coinvolte sono tutte amministrate dal Pd, e soprattutto la bolla degli affitti è ovviamente una tendenza di lungo corso, cioè arriva da anni in cui il Pd è stato invariabilmente al governo. Dopodiché, ed è cronaca recentissima, di fronte all’alluvione in Emilia Romagna abbiamo assistito all’evoluzione del progressismo in sciacallaggio. 

«Avete visto cosa succede quando si lascia il passo alla becera destra negazionista?», ha seriamente sostenuto questo mainstream squinternato che va da Saviano agli imbarattatori professionali di monumenti, mettendo in croce la premier perché aveva utilizzato la parola “maltempo” invece di “crisi climatica”, più consona alla neolingua gretina. Una cagnara che per qualche giorno ha attecchito, giusto il tempo che venisse diffuso uno studio del World Weather Attribution (ente che analizza i rapporti tra cambiamento climatico ed eventi estremi, dubitiamo quindi si tratti di bravacci al soldo della diabolica lobby del fossile) secondo cui le cause del disastro romagnolo sarebbero piuttosto da ricercare nella scarsa manutenzione del territorio e nell’eccesso di urbanizzazione, quindi al massimo tirino in ballo chi amministra quei luoghi dalla notte dei tempi, ovvero la sinistra in tutte le sue reincarnazioni. Insomma, sono circa sette mesi di governo Meloni, sette mesi in cui quella che Leopardi irrideva come “la profonda filosofia de’ giornali” si è rivelata sistematicamente fallace. Sette mesi di giornali da buttare. Meglio così.

 

Dai blog