2 Giugno, perché è la festa di tutti gli italiani
Il 2 giugno 1946 sancì la forma istituzionale repubblicana per lo Stato italiano. La repubblica, come è noto, nacque in un Paese letteralmente sfigurato dalla miseria materiale e morale, e nacque come repubblica antifascista grazie al voto decisivo dei fascisti “repubblichini”, i quali la preferirono in massa alla monarchia per reazione contro il “tradimento” dei Savoia. Il che, più che un paradosso, fu una sorta di “patteggiamento storico” volto a spegnere gli ultimi focolai di guerra interna.
L’avvento delle istituzioni repubblicane coincise con l’inizio di una nuova vita collettiva che, benché viziata dal mancato riconoscimento di una forma di governo realmente al di sopra delle parti, lasciava comunque intravedere un possibile orizzonte valoriale di appartenenza nazionale. Da questa prospettiva, la festa odierna dovrebbe offrire un osservatorio privilegiato per l’analisi dei processi di integrazione in vista del consolidamento della narrazione identitaria nazionale e di una memoria condivisa.
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A differenza del 25 aprile che è la festa del ricordo della fine una guerra civile tra italiani di opposta appartenenza politico-identitaria, il peggiore dei mali che possa capitare a una nazione, il 2 giugno è la festa dell’inclusione nazionale, che onora la conciliabilità tra memorie divise sotto le aggreganti insegne repubblicane. Se il 25 aprile rimette in scena la frattura culturale e politica sul significato, tratti mitico, da assegnare alla guerra di liberazione, il 2 giugno enfatizza la dimensione simbolico-rituale della nazione, la rinascita della Patria.
Tuttavia, a dispetto delle parole beneauguranti del presidente del Senato La Russa il giorno del suo insediamento, ormai otto mesi fa, persistono i rigurgiti anti-nazionalisti, spesso viziati da manipolazione utilitaristica della storia, che tendono a riaffermare le memorie divise e rimandare, ancora una volta, l’opportunità concreta di rinsaldare, in chiave istituzionale, l’identità nazionale.
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Il 2 giugno resta però l’occasione per una ricodificazione del valore unificante della nazione come “Noi” simbolico di pacificazione tra la storia e la politica, tra una memoria e l’altra, affinché possiamo ritrovarci tutti, con pari dignità, nella Patria repubblicana degli italiani. Non mancano i segnali incoraggianti, come quello della significativa ripresa economica del Paese, secondo le stime che l’Istat ha diffuso proprio ieri. Il che dovrebbe obbligarci a prendere atto che un’epoca si è chiusa e che un tipo di organizzazione istituzionale ha fatto il suo tempo. Il continuo moltiplicarsi di regole e spese insostenibili insieme allo stratosferico debito pubblico ci danno il quadro dell’inadeguatezza di istituzioni concepite nella società del 1948. Esse necessitano di una rivisitazione prudente, resistente ai populismi eversivi, ma che registri le profonde innovazioni intervenute in tutti gli ambiti di esperienza in oltre settant’anni. E chissà che la riforma in senso presidenzialista, auspicata dalla presidente Meloni, non si traduca nel mantenere viva quella tensione civica che ci permetterà di avviare processi di riformulazione, su basi nuove ma nell’alveo unificante della nazione, della nostra convivenza civile.