Giorgia Meloni "isola l'Italia"? Le cartoline al G7 che travolgono la sinistra
L’Italia sarà isolata nel mondo. Ci schiferanno come l’Ungheria e nessuno vorrà relazionarsi più con noi. Non conteremo più nulla e non riusciremo a far valere le nostre ragioni e difendere i nostri interessi. Questo è stato il bombardamento mediatico della sinistra italiana in campagna elettorale, per scongiurare la vittoria del centrodestra. Poi, quando si è insediato il governo Meloni, il ritornello è diventato una nenia con la quale i progressisti nostrani si cullano sperando di trasformare in un sogno destinato a svanire il loro incubo che invece si è materializzato.
Le foto di Joe Biden, presidente democratico degli Stati Uniti, per due volte vice alla Casa Bianca del mito della sinistra globale, Barack Obama, che abbraccia Giorgia Meloni al G7, il summit delle nazioni più ricche al mondo, e si fa portare con lei per mano nei corridoi del vertice di Hiroshima, sono uno schiaffo ai nostri politologi da Salone del Libro. Quanti, in Italia, godono se un ministro francese, manganellatore di immigrati clandestini, accusa il nostro governo di essere «disumano» o applaudono il premier canadese, Justin Trudeau, che si finge preoccupato per le nostre posizioni sui diritti civili ma in casa sua affitta uteri ai ricchi stranieri e omaggiava il persecutore di gay nigeriano, il presidente Muhammadu Buhari, devono farsi una ragione: con il nuovo governo, l’Italia è più considerata nel mondo. Gli attacchi di alleati sulla carta, ma che nei fatti ci hanno sempre combattuto, sono la prova della nostra inedita forza diplomatica, non di una debolezza che invece in Europa è sempre stata la nostra cifra, perfino quando a Bruxelles c’era Prodi o a Roma c’erano Monti o Gentiloni.
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GUIDA ITALIANA
Al G-7 dell’anno prossimo quindi, che il premier annuncia si terrà in Puglia «come segnale d’attenzione verso il Sud del mondo», ma la sede esatta non è stata rivelata «perché l’ho in mente ma si dà una notizia alla volta», l’Italia sarà protagonista non solo per questioni d’ospitalità. Ben diversa sarebbe la musica se a Roma governassero i giallorossi, con i grillini contrari all’appoggio a Kiev e la nuova segretaria del Pd, Elly Schlein, che si rifiuta di affrontare l’argomento. Fino a pochi mesi fa tre quarti di stampa italiana sosteneva che gli ostacoli all’appoggio a Zelensky, che ancora ieri ha ringraziato ufficialmente l’Italia, sarebbero stati i putiniani Salvini e Berlusconi. La realtà ha raccontato che gli amici del Cremlino siedono a sinistra dell’emiciclo, tant’è che da lì verrà la mozione parlamentare per il cessate il fuoco in Ucraina, opzione auspicata da Mosca ma alla quale Kiev è contraria.
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La guerra in Ucraina e l’avvento del centrodestra nel nostro Paese hanno scombinato geografia della diplomazia occidentale. L’Italia, da nazione di seconda fila, è diventata il punto di riferimento per gli Stati Uniti nella Ue, lo Stato che dà stabilità all’alleanza e garanzie oltre oceano sulla politica estera dell’Unione.
Gli Usa sono angosciati dalle velleità militari espansionistiche di Mosca e dall’aggressività di Pechino. L’Europa risponde a queste preoccupazioni con una Francia che ancora persegue i propri sogni di grandeur, ma come singola nazione e non come Paese guida di un’alleanza, e cerca una soluzione diplomatica al conflitto ucraino illudendosi di poter trattare da sola con Mosca e perdendo così credibilità sia a Est sia a Ovest. Dall’altra parte, la Germania resta il Paese Ue con i rapporti più ambigui con la Russia, circostanza inevitabile dopo i vent’anni di flirt tra Merkel e Putin e visto che al governo c’è l’Spd, il partito di Schroeder, l’ex cancelliere finito a libro paga dallo zar. Entrambe, Parigi e Berlino, stanno spostando il baricentro economico verso la Cina.
In questo contesto, l’Italia ha fatto la scelta più netta in difesa dell’Ucraina, ancora ieri ribadita dal premier («faremo di tutto per aiutarla») e vanta i migliori rapporti con Varsavia, la terra di frontiera dell’Occidente, dove siede un governo conservatore amico della Meloni da ben prima che la leader di Fdi sbarcasse a Palazzo Chigi. Quanto alla Cina, è probabilmente vicino il disfacimento della tela intessuta da Di Maio e dai grillini, che hanno fatto del nostro Paese l’unico firmatario del trattato sulla via della Seta, la qual cosa però non ci ha portato ad avere con Pechino rapporti più intensi e vantaggiosi di quelli di cui godono francesi e tedeschi e neppure ha impedito alla Cina di rallentare i rifornimenti di materie prime alla nostra industria, quando ne ha avuto necessità, particolare sottolineato dalla Meloni ieri in conferenza stampa.
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RIVEDERE IL TRATTATO
Pare quindi che il Trattato firmato da Conte sarà rivisto, per virare su contenuti meramente commerciali, poiché la Cina sarà sempre più il mercato del lusso mondiale, ma non infrastrutturali e organici.
Washington conta poi sulle pressioni dei Paesi membri sulle Nazioni Unite, che vivono con un elefante nella cristalleria, ovverosia un membro permanente, la Russia, che vìola il diritto internazionale, invadendo Paesi sovrani. La nostra premier lo ha ricordato pubblicamente ieri, sollevando il problema, nella speranza che l’Onu non diventi quello che fu la Società delle Nazioni, un ente inutile e imbelle, il cui fallimento divenne propedeutico allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Piena sintonia anche sul piano della difesa comune, con Fdi che è il solo partito a favore di un aumento della spesa per le armi, ma in una logica di rafforzamento della Nato e non, come vorrebbe Parigi, di antagonismo con gli Usa. Il rapporto privilegiato con gli Usa sarà sancito nuovamente con il viaggio del premier a Washington, probabilmente entro l’estate. E vediamo cosa si inventeranno i detrattori della maggioranza per spiegare che l’Italia, senza il Pd al governo, è isolata nel mondo.