Elly Schlein e "l'ammucchiata": ballottaggi, il Pd verso il disastro
Il primo turno del voto nelle città ha visto il centrodestra prevalere in quattro capoluoghi, strappandone uno ai rivali, e la sinistra confermarsi in due. Il secondo turno è aperto. Il centrodestra è in vantaggio nella maggioranza delle sfide, ma si sa che il ballottaggio è spesso favorevole alla sinistra, sia perché troppi elettori meloniani, salviniani e berlusconiani si dimenticano di presentarsi al seggio la seconda volta, sia perché le tre opposizioni si turano il naso e convergono, quando la prova è senza appello. Giorgia Meloni ha detto che «il centrodestra ha confermato la propria forza di coalizione di governo» ed Elly Schlein si è dichiarata «molto soddisfatta», certificando che «il Pd gode di ottima salute». L’Italia è il solo Paese al mondo nel quale, almeno a parole, le elezioni fanno contenti tutti, vincitori e vinti. È universalmente acclarato che, indipendentemente da chi spunterà più città dopo la tornata finale, questo voto amministrativo nulla cambierà nel panorama politico nazionale. Il centrodestra marcerà unito fino alle Europee, e probabilmente anche dopo.
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Quanto alle opposizioni, continueranno a procedere divise, tra loro e al loro interno. Renzi e Calenda aspettano solo di separarsi ufficialmente, magari anche di andare uno a destra e l’altro a sinistra. Conte ha deciso che la sola via per tenere vivo il Movimento è fare concorrenza ai dem. La Schlein non ha ancora deciso se il Pd dev’essere la costola parlamentare della Cgil oppure è il caso di mantenere una parvenza di aurea progressista che vada oltre la battaglia per i diritti civili. Nel mentre che sceglie, perde pezzi.
RITORNO AL PASSATO
In questo quadro si devono leggere le dichiarazioni del responsabile dem agli Enti Locali, Davide Baruffi («al centrodestra invidio l’unità») e della segretaria Elly («non è uno scenario in cui possiamo esprimere preferenze, quindi la mia preferenza tra M5S e Terzo Polo è per costruire un’alternativa alla destra»). Nella frase più politica da che ha sostituito Letta, la leader della sinistra dice chiaramente che il partito non ha la forza per affermarsi da solo e che la strada per andare avanti è tornare indietro. L’estate scorsa “Enrico stai sereno” si era spiaggiato nel tentativo di creare un fronte popolare contro la Meloni, ottenendo di essere scaricato prima da Calenda, che non voleva i grillini nell’alleanza con il Pd, poi da Conte, che non voleva regalare ai dem i voti di M5S. A febbraio di quest’anno, non i tesserati ma i simpatizzanti (e probabilmente anche qualche antipatizzante) del partito hanno scelto la Schlein per cambiare strada, dare un’idea di novità e ricercare la vocazione maggioritaria tentata e fallita da Veltroni. A distanza di tre mesi, per vincere ad Ancona, Pisa o Vicenza, la segretaria ha già cambiato strada, tornando all’appello all’alleanza di tutti contro il pericolo nero ma soprattutto, riesumando la politica situazionista e opportunista che i dem hanno perseguito negli ultimi dieci anni e che li ha portati a perdere identità e consenso. Se non è la mossa della disperazione, è comunque una contraddizione legata a un momento di difficoltà tale per cui vincere in un paio di capoluoghi viene ritenuto più importante che mantenere coerenza.
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I candidati grillini, nella maggior parte dei comuni dove si sono presentati, non hanno raggiunto il 5%, anche in virtù dell’incapacità storica del Movimento di trovare persone adeguate, che sul territorio si fa sentire più drammaticamente che su scala nazionale. Il Terzo Polo è stato il grande assente alle urne, ritenendo che non partecipare fosse il solo modo per non perdere. Dove il Pd ha trionfato, per esempio a Brescia, il sindaco si è vantato pubblicamente di non avere voluto esponenti nazionali del partito a sostenerlo. La chiamata alle armi fatta dalla Schlein è una figuraccia inutile, una prova di insicurezza, perché non sarà determinante rispetto alla vittoria o alla sconfitta nei singoli municipi e non è propedeutica a una futura alleanza stabile delle sinistre.
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GUERRA INTERNA
Sia che tra due settimane le vada bene, sia che le vada male, la segretaria del Pd si ritroverà al punto di partenza, con metà partito che non si riconosce in lei e il resto dell’opposizione che le fa la guerra. Per ora i consensi salgono, anche perché erano caduti talmente in basso che peggiorare non si poteva, ma l’immanenza e l’assenza di una linea chiara non sono posizioni che in politica si possano mantenere a lungo senza pagare dazio. Avanti di questo passo, Elly finirà per diventare il solito Papa straniero al quale i maggiorenti dem consegnano le chiavi della ditta, salvo ritirargliele perché non rispetta le consegne. In questo caso, le verrebbero ritirate anche perché non sta facendo nulla.