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Elly Schlein spaventata dal premierato? No, la paura di perdere voti

Fausto Carioti
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«Appare opportuna l’adozione di una forma di governo centrata sulla figura del primo ministro, investito in seguito al voto di fiducia parlamentare in coerenza con gli orientamenti dell’elettorato». Si leggeva così nella prima delle “Tesi” per la piattaforma programmatica dell’Ulivo, scritte nel 1996, sotto al titolo «Il governo del primo ministro». E se il Partito democratico fosse rimasto fermo lì, al programma di Romano Prodi, da oggi inizierebbe a scrivere la nuova Costituzione assieme al centrodestra e ai partiti di Matteo Renzi e Carlo Calenda. Ma il Pd di Elly Schlein non ha più nulla di quelle ambizioni. Come ha detto la segretaria al termine del confronto, «per noi la discussione sulla riforma istituzionale non è una priorità per il Paese». Da tesi numero uno ad argomento secondario, scavalcato dalla questione climatica e dalle altre nuove emergenze progressiste.

 

 

 

OPPOSIZIONE DIVISA

Questione di obiettivi. Anziché competere per rafforzare le istituzioni, la leader armocromista (ieri per l’occasione vestita di rosso) ha scelto di gareggiare con Giuseppe Conte, il suo vero rivale elettorale, a chi rema più forte nella direzione opposta a quella di Giorgia Meloni, qualunque essa sia. Persino quando il traguardo è quel «governo del primo ministro» che è nel dna del Pd. Niente elezione diretta del premier, dunque, e tantomeno del capo dello Stato.

Alla fine delle consultazioni che la premier ha tenuto a Montecitorio con i leader dell’opposizione, ciò che resta è la spaccatura della minoranza. Una parte, rappresentata dal terzo polo e alla quale potrebbe aggiungersi il gruppetto dei parlamentari della Autonomie (Svp e dintorni), è disposta a lavorare col governo per raggiungere un risultato utile a tutti. La base su cui lavorare è l’elezione diretta del premier: la seconda opzione nella lista della Meloni (che realisticamente ha accantonato la prima, l’elezione diretta del capo dello Stato) e la preferita da Renzi e Calenda. E accanto a questa opposizione ce n’è un’altra che fa un gioco tutto diverso.

Con la Schlein, che pure guida il partito con la più lunga tradizione di governo, rivelatasi più oltranzista di Conte, al punto da degradare l’ipotesi dell’elezione diretta del presidente della repubblica o del premier a oggetto di ironia: «E allora perché non una monarchia illuminata?», ha detto rivolgendosi alla Meloni durante il loro colloquio. La presidente del consiglio ha provato a spiegarle che essere della partita conviene anche al Pd. «Guardate», ha argomentato, «che questa non è una riforma che stiamo facendo per noi stessi: se dovesse andare in porto, entrerebbe forse in vigore nella prossima legislatura. Io immagino una riforma per la quale domani, paradossalmente, potrei essere ringraziata da qualcuno». Né Fratelli d’Italia né il resto della maggioranza, infatti, avrebbero qualcosa da guadagnare dall’introduzione dell’elezione diretta del premier, perché i nuovi meccanismi istituzionali, nella migliore delle ipotesi, entrerebbero in funzione con le elezioni politiche, previste tra quattro anni.

 

 

 

MODELLO DE GAULLE

Il tornaconto cui aspira la Meloni è di tutt’altra natura: vuole passare alla Storia, oltre che come prima donna presidente del consiglio, come colei che ha usato il mandato degli elettori per riscrivere la Costituzione e rendere finalmente stabili le istituzioni italiane. La sua ambizione è fare finalmente qui, oggi, quello che Charles De Gaulle fece sessantacinque anni fa dall’altra parte delle Alpi. I socialisti francesi, che all’epoca contestarono la riforma presidenziale voluta dal generale, sono stati poi quelli che più ne hanno goduto, con Mitterrand ed Hollande, e la loro è diventata una democrazia ben funzionante. A conferma del fatto che le buone riforme servono a tutti, non ad una singola parte. La Schlein e Conte ragionano diversamente, ma la presidente del consiglio è convinta di farcela comunque. Ne discuterà con i sindaci, i governatori di regione e le parti sociali, ma è già chiaro che intende tirare dritto verso l’elezione diretta del premier: assieme a Renzi, a Calenda e a chi ci starà. 

 

 

 

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