Cerca
Cerca
+

I comunisti: operai? No, cashmere e yacht privati: le foto che li incastrano

Corrado Ocone
  • a
  • a
  • a

Emanuele Macaluso racconta nella sua biografia che subito dopo la guerra i maggiori dirigenti comunisti, che pure erano per lo più borghesi, si sentivano così partecipi delle sorti del proletariato che vivevano in modo spartano. Le loro case, ad esempio, non avevano nemmeno i lampadari ma al massimo una lampadina appesa al soffitto. D’altronde, quella comunista era una Chiesa a tutti gli effetti, coi suoi sacerdoti, i suoi culti, e le sue regole: una vita austera e schiva era d’obbligo per chi aveva concepito la vita come una missione. Come quel Partito, sicuramente manicheo e intollerante, si sia potuto trasformare così tanto da diventare il partito degli snob radical chic con casa a Capalbio, può stupire ma non più di tanto. La “rivoluzione antropologica” del vecchio comunista è iniziata man mano che la fede nella rivoluzione socialista, e nell’Unione Sovietica come modello di riferimento, è andata scomparendo. Come tutti i credenti in fedi o ideologie forti, anche i comunisti, una volta che hanno perduto il loro Dio, sono diventati non liberali, come pure a un certo punto iniziarono a definirsi, ma cinici disincantati che non hanno creduto a nulla altro non al potere.

All’inizio di questo processo, negli anni Ottanta, la forma rimase, ma la sostanza ormai l’aveva abbandonata. Era il periodo della “malafede”, per dirla con Nicola Chiaromonte: si fingeva di essere comunisti, per mantenere le proprie rendite di posizione, ma intanto si conduceva in privato una vita di lussi e opulenze. La classe operaia era ancora citata ipocritamente ma intanto si cercavano gli agi borghesi, compresi quelli della servitù filippina e del cibo ricercato. Fausto Bertinotti con i suoi golfini di cachemire e Massimo D’Alema con la sua barca e le sue scarpe di mille euro sfoggiate con autocompiacimento sono l’emblema iconica di questa fase.

 

 

Un ulteriore passo avanti, o indietro, verso la perdizione fu compiuto negli anni Novanta quando gli ex comunisti, sulla scia delle teorie sulla “terza via” di Antony Giddens e le politiche di Tony Blair, aderirono alla globalizzazione e alla governance mondiale che ne scaturiva. L’Unione Europea divenne allora la nuova patria di riferimento, acriticamente assunta. Di quali nefandezze si siano compiute in suo nome a Bruxelles in casa socialista, il caso delle mazzette di Panzeri è esempio significativo. Man mano si affermava intanto anche, arrivando dai campus statunitensi, l’ideologia woke con la sua ossessiva attenzione al linguaggio e alle “minoranze” solo presuntivamente “discriminate” e offese. Questa ideologia solo apparentemente si opponeva alla precedente del globalismo. Di fatto si creava una stretta alleanza fra l’idea delle identità fluide e la necessità per il mercato di creare sempre nuovi target di riferimento.

 


MIX IDEOLOGICO
È in questo brodo di coltura che è potuto nascere il caso Somauhuro. L’Intraprendente deputato infatti è stato adottato come simbolo dalla sinistra, nulla più. E poi scaricato. Che le sue attività fossero losche a nessuno avrebbe potuto interessare: è sull’immaginario che questa sinistra lavora, non sulle strutture materiali della società a cui si richiamava il vecchio marxismo. Che Lady Somauhuro abbia potuto rivendicare il «diritto al lusso» non la rende troppo diversa, ovviamente solo nel mix ideologico di cui è portatrice, da Elly Schlein che rilascia la sua prima intervista a Vogue proprio mentre parla di diritti e chiede ridicole professioni di antifascismo a chi governa. E non sembra nemmeno accorgersi di certi cortocircuiti. La neo segretaria ci fa capire che il suo vestire trasandato e la sua semplicità sono mere costruzioni, della stessa sostanza dei sogni, identità fittizie. È questa è la sinistra che oggi ci troviamo. La “rossa primavera” diventata una armocromia è la più tragica delle palinodie. Una perdita secca per i veri deboli e sfruttati, che certo non mancano in queste nostre società tardomoderne. E che, isolati e senza rappresentanza, sono stati in definitiva dai dirigenti di sinistra non solo danneggiati ma anche beffati. 

 

Dai blog