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Comunismo, il brutto gioco dei nostalgici di casa nostra

Alessandro Sallusti
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«Il comunismo è emancipazione», ha detto di recente in tv la professoressa Donatella Di Cesare, riedizione mediatica in gonnella di quell’altro genio del mitico professor Orle per le democrazie occidentali, una certa comprensione perla Russia di Putin. Riporto fedelmente la frase della signora, che insegna filosofia alla Sapienza di Roma rosse d’Italia ma forse pure d’Europa: «Il comunismo è stato ed è un progetto politico di emancipazione». 

Ora senza scomodare Stalin, i gulag, i carri armati a presidiare i Paesi dell’Est Europa riottosi a emanciparsi verso l’Eden del comunismo per tutta la durata della Guerra Fredda, e senza neppure scomodare i massacri di civili che l’Armata Rossa sta commettendo in Ucraina, sarebbe interessante sapere se questa affermazione della Di Cesare è condivisa dagli abitanti di Cuba che dal 1959 vivono ininterrottamente sotto un regime comunista. Perché un conto è giocare a fare la comunista in Italia con le libertà e gli agi dell’Occidente anticomunista, altro è viverci dentro il comunismo. 

 

Perché se ci vivi, come ci vivono i cubani, magari si è costretti, a differenza della Di Cesare, a non festeggiare neppure il Primo Maggio, Festa dei lavoratori. La notizia è infatti che lunedì, per la prima volta dalla caduta di Batista, la grande Plaza della Revolucion a L’Avana rimarrà vuota perché non solo i cittadini ma neppure lo Stato ha più i soldi per comprare la benzina necessaria a trasportare le masse, merce da quelle parti già di per sé rara. Insomma, in sessant’anni di comunismo i cubani non soltanto non si sono emancipati ma stanno precipitando nel baratro della povertà assoluta e per di più nella assoluta mancanza di libertà: chi osa protestare finisce ovviamente in carcere, insieme agli omossessuali ai quali, vorrei ricordare alla Di Cesare, non è mai stato permesso di emanciparsi. 

Insomma, queste comuniste emancipate grazie all’Occidente che sputano nel piatto dove mangiano loro e i loro figli sono più o meno come la Schlein su Vogue con la specialista di armocromia a trecento euro a consiglio. Altro che professori di filosofia, questi sono professori di furbizia, di più, Nobel della furbizia.

 

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