Chi sarà il prossimo? Non so. Ci sarà? Sì. Ma scommetterei che il prossimo non perde a favore di Italia Viva, né di Azione». Ore 16.40, Senato, Sala Nassirya. Matteo Renzi, a fianco di Enrico Borghi, che ha convocato la conferenza stampa per spiegare la scelta di lasciare il Pd per entrare in Iv, fa il facile profeta. Due ore dopo, sul Foglio online, esce la notizia che Caterina Chinnici è pronta a lasciare il Pd per Forza Italia. Con lei, quindi, non è solo Borghi, che pure è un esponente di primo piano del Pd, già responsabile sicurezza nella segreteria di Letta e componente del Copasir. Con Chinnici, la faglia si allarga, fino a comprendere un cognome che pesa.
Intanto c'è Borghi. E non è poco. Non lo aveva anticipato a nessuno, nemmeno agli amici più stretti. «Mi assumo la responsabilità», spiega, «di una decisione personale». Un addio, quello di Borghi, che è un fulmine a ciel sereno per il Pd e una boccata di ossigeno per Renzi, che ha visto precipitare i consensi di Italia Viva dopo la rottura con Calenda. L’arrivo di Borghi segna una nuova strada. L’idea è di costruire, da qui, alle politiche, una gamba di centro che possa allearsi con il Pd e, perché no, con il M5S. Una Margherita 4.0 necessaria anche a Elly Schlein. Certo, la strada deve essere costruita, nulla è scontato. Ma l’obiettivo è quello. Renzi (che scherzando con i cronisti ha citato una celebre battuta di Proietti sul Cavaliere nero) è prudente, ma Borghi lo lascia intendere più chiaramente. «La mia idea», spiega, «è che possa esserci un progetto alternativo rispetto alla destra e distinto rispetto al Pd. Poi sarà il tempo a dire cosa fare». Dove “alternativo” è diverso da “distinto”.
La scommessa è che altre realtà possano aggiungersi: cattolici democratici, popolari, liberal democratici. Un mondo che, in questi tempi, si sente orfano di una casa. Borghi spiega la sua scelta come una «assunzione di responsabilità», che nasce da «una grande preoccupazione percepita tra i tanti militanti, elettori che hanno votato il Pd». Scelta che nasce da una «constatazioNicola Danti ne» e da una «analisi». La prima è che dal 25 febbraio, giorno delle primarie dem, «il Pd ha fatto una mutazione genetica» che contraddice l’ispirazione originaria del Pd, ossia quella di creare un partito che fosse «la fusione dei riformismi». L’analisi è che il premier «sta cercando di spostarsi al centro, oggettivamente aiutata da un Pd che si è spostato a sinistra».
La definisce una “merkelizzazione” della Meloni. Ma «il Paese ha bisogno di altro rispetto a una destra nazionalista e a una sinistra massimalista». La speranza è che altre realtà possano aggiungersi. Si guarda ai popolari, ai liberali della Fondazione Einaudi, a + Europa. Anche perché, come nota Renzi, «il Pd ora è di fronte aun dilemma: o Elly è fedele al mandato delle primarie o perde la propria identità». Ergo: converrebbe anche a lei avere una gamba di centro. «Oggettivamente in quella che era la Margherita», spiega Borghi, «sono emerse preoccupazioni». Cita due temi: sicurezza e maternità surrogata. «Dire che vogliamo l’esercito europeo e che vogliamo diminuire le spese militari è un ossimoro», così come «dire che si è a favore della Gpa, ma poi se ne discuterà».
Bonaccini? «Non ho da muovergli critiche, certo se avessi trattato io per la segreteria, avrei fatto diversamente». Ora dal Pd gli chiedono di dimettersi dal Copasir. Ma è il presidente, Lorenzo Guerini, a spiegare che l’uscita di Borghi non dà problemi: la legge prevede solo che 5 membri vadano alla maggioranza e 5 all’opposzione. Ed è sempre Guerini, capo dei riformisti Pd, a invitare a non derubricare l’uscita di Borghi con un’alzata di spalla. Con il nuovo acquisto, Iv ha 6 senatori. Quanto basterebbe per creare un nuovo gruppo al Senato, distinto da Azione. Ma, per ora, è una pistola puntata, più che una intenzione reale.