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25 Aprile, "ora come allora...". Vergogna: chi vuole far fuori la Meloni

Francesco Storace
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Pretendono di essere un sinonimo di antifascisti ma sempre comunisti rimangono. Perché le parole vergate da Giorgia Meloni al Corriere della Sera di ieri non bastano mai. È come in una trattativa sindacale: vale sempre il più uno. Ma mai come ora sono loro a rischiare di patinare di ridicolo il 25 aprile di ieri. La Meloni, dopo aver rifiutato ogni accostamento a regimi totalitari – fascismo incluso – doveva fare di più, dicono. Sempre di più, persino dirsi antifascista senza fascismo. Una litania messa in scena da diversi esponenti della sinistra, che hanno scelto a bersaglio una volta lei, una volta Ignazio La Russa, presidente del Senato. Ma sulla premier, l’accanimento è stato particolare. Perché sono rimasti spiazzati e delusi dalla mancanza di nostalgie. A settembre è partito il treno del futuro e non se ne capacitano. E così hanno alzato l’indice ammonitore. Eh no, cara Giorgia, il pensiero un po’ contorto della Schlein: «Il Pd partecipa alla festa della Liberazione per ricordare che cosa è stata la dittatura nazifascista e che cosa è stato il sacrificio di chi ci ha liberato per ricordare quei valori della resistenza per cui noi oggi continuiamo a batterci». Non si comprende se quel pericolo ci sia ancora...

 

 

 

PARTE IL CORO

Ma un po’ a tutti i Peppone d’Italia brucia quel riferimento della premier alla Libertà più che alla liberazione. Il loro capofila è Beppe Sala, sindaco milanese: «Giorgia Meloni deve dichiararsi antifascista». Lo ha deciso lui. Poi, il solito capogruppo del Pd, Boccia, che batte sul nuovo tasto: «Oggi in Italia è la festa della Liberazione dal fascismo, non solo la festa della libertà. La radice della nostra storia repubblicana è antifascista. Per questo spiace che Giorgia Meloni, pur in uno sforzo che le riconosciamo ma che mantiene una evidente reticenza, non riesca a dichiararsi antifascista». Idem Fratoianni, «non è festa della libertà, ma della liberazione». La premier deve averli trafitti. Risorge persino Roberto Speranza, che non riesce proprio a tacere e pontifica anche lui che «manca ancora un riferimento chiaro all’antifascismo. C’è un tentativo ma ho sempre la sensazione che si arrampichi sugli specchi».

 

 

 


Poteva mancare Laura Boldrini tra i critici della Meloni? Macchè, il rimprovero sembra poetico: «Antifascismo è una parola bellissima e Meloni dovrebbe sentirla sua». Pure... Ci sono anche quelli che non riescono a trovare le parole per delegittimare la presidente del Consiglio e fanno un passo di lato. Uno di questi è Bonelli, verde, che stavolta non presenta un esposto come fa quotidianamente, bensì scrive una dichiarazione per denunciare semplicemente che «Giorgia Meloni non prende le distanze da Ignazio La Russa». Ohibò, così non si fa. Ah già, La Russa. Un altro estremista di quelli seri, il senatore Sandro Ruotolo, lo definisce «provocatore seriale» e pure per lui Meloni si deve «definire antifascista». Ma in una democrazia, uno sarà libero o no di definirsi come vuole?

 

 

 

A trovare la soluzione ci pensa Luigi De Magistris, ex sindaco di Napoli, con pochi votarelli alle ultime politiche: «È pericoloso che oggi ai vertici di alcune delle più alte istituzioni democratiche antifasciste, costituzionali e repubblicane, ci siano fascisti. O comunque persone che hanno le radici della loro storia politica nel fascismo e mai lo hanno rinnegato. Ora come allora», conclude l’ex sindaco di Napoli «è «Il Pd partecipa alla festa della Liberazione per ricordare che cosa è stata la dittatura nazifascista e che cosa è stato il sacrificio di chi ci ha liberato per ricordare quei valori per cui noi oggi continuiamo a batterci» necessario cacciare fascismo e fascisti». Per ora, gli elettori hanno cacciato dalla politica quelli come lui. Ma messi tutti insieme, il coro degli antimeloniani ormai suscita solo sbadigli. Perché è tempo che si aggiornino e comprendano che il Paese reale non li segue più proprio per la loro propensione alla guerra permanente. Ma fingono di non capirlo e continuano con le loro contumelie. Fino alla prossima sconfitta.

 

 

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