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Luigi Di Maio, scoppia la guerra a casa Travaglio

Iuri Maria Prado
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Marco Travaglio è notoriamente più avveduto rispetto a quelli dei ranghi posti al suo comando: e infatti se c’è uno scappato di casa che diventa ministro dei Gilet Gialli e di Avellino e vice presidente del Consiglio e molto altro grazie alle piazze del vaffanculo, cioè il Movimento 5 Stelle da sempre presieduto dal direttore del Fatto Quotidiano prima della cessione a Mister Graduidamende, lui, Travaglio, se poi Di Maio prende un’altra via e finisce alla Ue con stipendio incompatibile con la politica dell’onestà, non fa come i soldati semplici della sua redazione, tipo Andrea Scanzi, che appioppano a Giggino di poltronaro e traditore del popolo che resiste all’avanzata del 5G e delle scie chimiche e ai taglieggiatori del reddito da sofà.

No. Travaglio, incurante della ciurma in ammutinamento, spiega che Di Maio è bravo assai, magari non proprio sempre condivisibile per esempio quando non giura sul proprio sangue che Giuseppe Conte è un uomo bellissimo e che a Kiev c’è un governo di drogati omosessuali - ma insomma averne di personale politico con la stoffa del neo inviato dell’Unione Europea. «Qualunque cosa dovrà fare nel Golfo», spiega Travaglio, «Di Maio la farà con abilità». 

 

Sempre che, ovviamente, i poteri forti che l’hanno issato lassù non finiscano per guastarne completamente le antiche competenze, trasformandolo nella persona quasi civile che a quel punto farebbe definitivamente mutare giudizio a un Travaglio di nuovo in armonia con la sua squadra.

 

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