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Luigi Di Maio inviato nel Golfo Persico? Lui non ha colpe, la Ue invece sì

Gianluca Mazzuca
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Se vogliamo, l’esempio l’aveva dato lo stesso Grillo, padre dei Cinquestelle, che, da grande attore comico quale era (e in tanti l’abbiamo davvero apprezzato in quel ruolo), si è poi trasformato in un fondatore di partito: l’importante è sapersi sempre riciclare. In un verso o nell’altro. Non c’è che dire: la strada indicata da Beppe è stata seguita da molti dei suoi allievi. Basta guardare lo scenario attuale di coloro che hanno cavalcato il momento grillino e che poi sono scesi da sella con la crisi del partito: tanti seguaci, negli ultimi tempi, hanno cambiato casacca (anche politica) con grandissima disinvoltura.
A ben vedere, forse il più “normale” tra gli ex appare oggi proprio quello che, ai tempi dei governi Conte, sembrava a molti come il prototipo dei “fuori onda”, quel Danilo Toninelli che, sceso dal palcoscenico, si è messo tranquillamente a fare l’assicuratore.

Tanto di cappello, dunque, per l’ex ministro dei Trasporti. Per il resto, c’è stata una vera e propria corsa alla poltrona sostitutiva e, in questa specie di Giro d’Italia del riciclaggio, la maglia rosa spetta certamente a Luigi Di Maio che è stato designato dal capo della diplomazia di Bruxelles, Josep Borrell, come rappresentante speciale dell’Unione europea per il golfo Persico. Una scalata per Giggino sotto diversi profili: il prestigio dell’incarico (resterà in carica fino al 2025), l’alto stipendio (12 mila euro netti al mese), lo slalom che ha portato a termine in quanto indicato per tale incarico dal precedente governo Draghi e non certo dall’attuale esecutivo.

Al di là delle legittime proteste di Tajani e di Salvini per questa scelta che l’attuale maggioranza non aveva indicato, la nomina “a posteriori” di Di Maio è la migliore conferma di come lavora l’Ue che, spesso e volentieri, matura le proprie decisioni con grandissimi ritardi (è il caso dell’intero “dossier-migranti”) ma soprattutto che non tiene affatto conto dei “desiderata” dei vertici in carica di ciascun partner. La mossa di Borrell sembra, in effetti, un vero e proprio schiaffo nei confronti del governo Meloni.

Il motivo è molto semplice perché di questo incarico a Di Maio si parlava già dall’anno scorso (quando Giggino era ancora ministro degli Esteri) ma, nel frattempo, qualcosa è cambiato sul fronte italico: nel settembre scorso ci sono state le elezioni politiche e il centrodestra è diventato maggioranza. Prima di procedere alla nomina dell’inviato nel Golfo, il capo della diplomazia europea non avrebbe dovuto chiedere il parere del nuovo governo che, nel frattempo, si è insediato? Qui non stiamo parlando di capacità professionali di Giggino che si è fatto le ossa quando era alla Farnesina, qui stiamo ragionando sulla mancanza di tatto da parte dei vertici di Bruxelles. E, a questo punto, la domanda sorge legittima: come riusciremo a dialogare con gli organi comunitari se gli stessi vertici Ue dimostrano di andare avanti per la loro strada senza nemmeno consultarci?

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